San Marino. Europa, diventa ciò che sei!…di don Gabriele Mangiarotti

Sembra che la questione «Europa» sia giustamente di una attualità determinante, in questi giorni, e da molto tempo. E sembra anche che quanto sta accadendo, che pure dovrebbe interessare e appassionare tutti noi, rischi di suscitare dibattiti tra opinioni, piuttosto che un approfondimento critico degli argomenti. Mi è capitato di leggere queste riflessioni di Renato Cristin, autore de I padroni del caos e curatore di un interessante e brevissimo saggio introduttivo al pamphlet di Millet L’antirazzismo come terrore letterario.

Credo che sarebbe interessante aprire un serio confronto su questi temi, perché l’auspicato ingresso in Europa produca frutti positivi rispetto al bene comune e alla convivenza pacifica, senza correre il rischio di perdere quello che di più caratteristico è della «Antica terra della libertà».

«Orientarsi nel pensiero implica possedere, curare e valorizzare una identità, dalla quale dipende la possibilità di mantenere vitale un percorso storico, con tutte le sue istituzioni reali e simboliche. Se l’identità si forgia anche in base alla capacità di orientamento, quando si perde o diminuisce questa capacità, l’identità si indebolisce, con tutte le possibili conseguenze, che vanno dalla crisi temporanea alla trasformazione radicale fino alla sparizione definitiva. Essere disorientati comporta il rischio di smarrire l’identità, e poiché questa perdita è uno dei maggiori pericoli in cui le conformazioni sociali possono incorrere, in quanto distrugge irreparabilmente una tessitura storica di lunga durata, mantenere e rafforzare quel genere di orientamento è un obbligo culturale ed etico, una responsabilità superiore a cui nessun uomo e nessuna società dovrebbero sottrarsi.

[…] La casta politico-burocratica (nuova versione del vecchio politburo di totalitaria memoria) impossessatasi dell’Europa e delle istituzioni … ha deciso di trasformare il mosaico di popoli, nazioni e culture da cui l’Europa era composta, non più in un insieme sostanzialmente omogeneo quanto più possibile integrato (obiettivo positivo della prima fase dell’Unione europea), ma in un melting pot etnico-culturale in cui le differenze diventano divergenze e tensioni, prodromi di inevitabili conflitti culturali ed etnici, che porteranno sul suolo europeo non solo ostilità localizzate fra europei e immigrati, ma anche una lotta intraeuropea, una guerra civile di tipo ideologico, culturale e politico fra europei di sinistra e di destra e, quindi, fra immigrazionisti e anti-immigrazionisti, multiculturalisti e identitari, progressisti e reazionari, per non parlare di quel drammatico «scontro fra civiltà» che è stato dichiarato dalla parte più fanatica dell’islamismo e che oggi inizia a svilupparsi sul terreno europeo.» (I padroni del caos, pp. 30-31)

Nella introduzione al testo di Millet sull’antirazzismo, sempre Cristin afferma che l’intera Europa si trova «pervasa da modificazioni etno-culturali che sono il risultato non di una volontà generale, ma di pretese oligarchiche, scossa da tensioni che contrappongono due antitetiche visioni del futuro: da un lato una maggioranza che, in gran parte ancora silenziosamente, sostiene la necessità di fermare il vertiginoso avanzare della disgregazione; e dall’altro una minoranza, quasi tutta rumorosa e proterva, che vuole invece imporre ciò che Renaud Camus chiama “la grande sostituzione” dei popoli europei.»

Quello che colpisce, in questo giudizio, è la costatazione che la modifica nella quale ci troviamo coinvolti è il frutto dell’azione di minoranze che agiscono creando un pensiero e quindi una prassi socio-politica in contrapposizione all’autentico sentire del popolo.

Siamo purtroppo di fronte – e questo non da poco tempo, se almeno riflettiamo sull’impatto che i social hanno sulla mentalità e sui comportamenti della maggioranza – a una forma di manipolazione nei confronti della quale siamo sostanzialmente indifesi, perché non ne cogliamo la gravità e la diffusione. Un po’ come affermava Nietzsche del comportamento degli uomini di fronte a quella che lui chiamava «morte di Dio»: «Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? … A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguì – non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”.»

È questo il momento di un lavoro comune, di un confronto serrato, della riflessione comune che preferisca la verità al compromesso, che non cancelli le divisioni e che lotti per garantire uno spazio di lavoro comune. L’Europa – quante volte ce lo ha ricordato Giovanni Paolo II – è un valore e una identità di umanità e di libertà, perché segnata dalla verità sull’uomo e sul suo destino che sono il frutto di una storia in cui si sono incontrati uomini ebrei, romani e cristiani capaci di costruire un progetto comune, e che i grandi padri fondatori del secolo scorso hanno contribuito a plasmare. Che questa Europa non venga cancellata, e che ciascuno di noi ne diventi responsabilmente protagonista. In questo la nostra terra, la più antica Repubblica nel mondo, ha un compito insostituibile. Che anche i giovani, insieme alle istituzioni, ne siano consapevoli e artefici, imparando a discernere e a giudicare, senza schemi.

don Gabriele Mangiarotti