Fine vita: è l’azione con cui si procura, intenzionalmente e nel suo interesse, la morte di un individuo la cui vita sia permanentemente compromessa da una malattia irreversibile. Ma se un individuo vuole morire, può buttarsi dalla Terza Torre, invece se desidera che sia un altro a procurargli la morte, questo “altro” deve essere tutelato.
Questo è uno dei nodi più importanti che si articolano su una materia dove le implicazioni affettive, mediche, ideologiche, religiose, etiche e giuridiche costituiscono un groviglio dove le idee, ma soprattutto i diritti costituzionali dell’individuo, spesso sono confliggenti. Non solo, ma si innestano su quel concetto di “dignità della persona” oggi rivestito da mille diverse sfumature.
Un argomento difficile, complesso e divisivo, al quale l’Associazione Emma Rossi ha voluto dedicare una conversazione pubblica con qualificati relatori che hanno affrontato alcuni degli aspetti fondamentali: quello filosofico, affidato al professor Verter Casali e quello giuridico affidato all’avvocato Lara Conti; in conformità al titolo scelto per l’occasione: “Fine vita. Aspetti umani, medici, giuridici, sociali”.
“Scopo della serata, è offrire un contributo di conoscenza” ha spiegato Laura Rossi, nelle vesti di moderatrice, illustrando come l’argomento non sia del tutto nuovo a San Marino. Ci sono state infatti due istanze d’arengo: una del 2017 (bocciata) e una del 2020 (approvata) che chiedevano di normare il ricorso alla morte medicalmente assistita. Da questo primo passaggio sono nati due ordini del giorno consiliari per individuare un percorso normativo, o quanto meno aprire un dibattito. Che dal punto di vista politico, non è stato mai avviato. Nel mezzo, un documento del Comitato Sammarinese di Bioetica del 2019, che offre indirizzi sulle possibili soluzioni e tiene conto perfino delle posizioni delle diverse religioni.
Ma “fine vita” non è solo “eutanasia” come superficialmente si potrebbe pensare. La nuova presidente dell’associazione, Patrizia Busignani, ha ricordato come l’allungamento della vita biologica rispetto all’età anagrafica abbia portato a processi degenerativi da cui si muovono problematiche fino a qualche tempo fa sconosciute: l’accanimento terapeutico (che talvolta sfocia in biolatria, ovvero adorazione della vita ad ogni costo), le cure palliative e quelle antalgiche (che non sono la stessa cosa), la sedazione profonda, l’eutanasia, il suicidio medicalmente assistito assunto in forma autonoma e volontaria. Argomenti che si inseriscono, pur con diverse interpretazioni, nel concetto di “dignità della vita” che deve estendersi a tutti gli stadi della vita umana. Ma investono anche uno strumento qual è il DAT (disposizioni anticipate di trattamento), anche detto “biotestamento” o “testamento biologico” attraverso il quale ogni persona, maggiorenne e capace di intendere e volere, può esprimere il proprio consenso o rifiuto su accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche e singoli trattamenti in caso di malattia irreversibile o terminale. “Il Consiglio Grande e Generale – ha sottolineato Patrizia Busignani – ha già fatto suo il tema. Ora è necessario che dia una risposta”. Dal punto di vista del sistema sanitario, invece, assistiamo a qualche tentativo di avvio per le cure palliative, mentre il progetto di Hospice (reparto specializzato per la terapia del dolore e dei pazienti terminali) è rimasto nelle pagine dei programmi elettorali.
Può essere di aiuto la filosofia in questo groviglio di problematiche? “Il filosofo getta un sasso nello stagno, ha il ruolo di scuotere le coscienze” ha suggerito Verter Casali ricordando che il dilemma: perché viviamo, perché moriamo coinvolge l’Uomo dalla notte dei tempi e investe il suo credo religioso. Interrogativi che non hanno mai risposte certe, anche perché si intrecciano con una dimensione morale sottoposta alle evoluzioni del contesto storico e sociale.
Ancora più intricata è la dimensione giuridica, perché come ha detto Lara Conti, bisogna cominciare addirittura dal significato che si dà alle definizioni: cos’è malattia irreversibile, cos’è accanimento terapeutico, come si può regolamentare il rapporto medico – paziente. Non solo, ma dove si deve depositare un eventuale “consenso informato”: da un notaio, o dentro il fascicolo sanitario elettronico, in modo che sia immediatamente visibile dai sanitari? Cosa si deve intendere per incapace: un minorenne con deficit intellettivo, un anziano con Alzheimer, o altro?
“Ma soprattutto – ha evidenziato Lara Conti – ci sono due posizioni inconciliabili: il diritto alla vita e il diritto all’autodeterminazione, entrambi tutelati dalle leggi costituzionali”. Una contrapposizione di interessi da cui origina l’obiezione di coscienza, altro elemento di cui tenere conto.
Gli oppositori a qualsiasi normazione del fine vita parlano di rischio di “macelleria legale”, un’esagerazione che non corrisponde affatto ai provvedimenti già adottati nei Paesi nordeuropei, meno frenati da vincoli religiosi. L’esperta di diritto suggerisce due direttive: un governo illuminato che sappia mettere i paletti giusti a diritti che devono essere riconosciuti, e sappia evitare che tutto diventi un business economico.