Non so se negli anni scorsi, come è al centro di una polemica sterile e puramente dialettica che sta rubando attenzione all’informazione vera e alle sacre “stupidaggini” amichevoli vero fine di un social, negli anni passati il Tribunale sammarinese si sia diviso fra diverse fazioni di giudici, parte più fedeli al mandato e parte più fedeli alla cosiddetta “Cricca”.
So, o meglio ritengo, oggi, che una certa divisione ci sia stata e non solo fra giudici oggi rinviati a giudizio e giudici ancora senza alcuna ombra, come ricordava Gerardo Govagnoli. Ritengo ci sia stata fra giudici che hanno condotto indagini poi rivelatesi malgestite e giudici più attenti. Un gap che appare oggi superato.
Del resto, che qualcosa non funzionasse a dovere nel Tribunale qualche anno fa, oltre agli scontri interni, lo ha confermato la sentenza di secondo grado del Mazzini e lo ha evidenziato, in maniera ancor più chiara, la prima udienza del processo con imputato Gabriele Gatti che vedeva al banco dei testimoni l’ex ispettore Francioni -a capo delle indagini condotte dal Giudice inquirente Alberto Buriani, oggi in attesa di giudizio- incalzato dal difensore dello stesso imputato.
Da questa marea infinita di “non ricordo” (del resto sono inspiegabilmente passati ben sette anni dall’inizio delle indagini alla prima udienza, altro segnale che tutto bene forse non andava ai Tavolucci) emerge una estrema approssimazione nelle indagini e, a tratti, si arriva addirittura a pensare che il fine primario fosse l’individuazione di elementi, anche se fumosi, a carico dell’indagato che non una più ampia e doverosa ricerca della verità. Certo, è solo una impressione, ma suffragata da più di una argomentazione più o meno pesante.
Sorvoliamo sull’aspetto più pesante perchè ormai noto, ovvero l’accusa di associazione a delinquere che motivò la lunga custodia cautelare e la scenografica quanto cruda “fucilazione” a mezzo stampa di Gabriele Gatti ritratto mentre veniva tradotto in carcere dai gendarmi. Una accusa che anche in questa prima udienza non si è solo rivelata infondata come era sancito nel decreto di rinvio a giudizio -che non prevedeva più questo capo di imputazione-, ma che si è rivelata addirittura non approfondita in fase di indagine, almeno per quanto riguarda il nucleo investigativo di Francioni.
“L’arresto di Gatti -incalzò l’Avv.Coco in Aula- non deriva da operazioni finanziarie ma dalla sua presunta partecipazione ad una associazione a delinquere volta a delegittimare la magistratura ed in particolar modo il magistrato Buriani”. “Ha fatto mai indagini su questa associazione a delinquere -chiede a Francioni- e sa da chi era composta? Il magistrato le ha delegato le indagini?”
“Non ricordo di preciso -rispose l’ex ispettore- ma se il magistrato ci ha delegato questa informazione è contenuta nel nostro rapporto”. Ma nel rapporto, come evidenzia il legale, non c’è! “La nostra attività -è quindi costretto ad ammettere il teste- è stata limitata alla ricostruzione dei rapporti bancari, finanziari…”. “Nessuna indagine su questo (l’associazione a delinquere – ndr) conclude l’avvocato-. Bene”. Bene si fa per dire ovviamente…
E’ possibile in una giustizia efficiente e professionale? E’ possibile non approfondire una motivazione addotta per limitare, senza una condanna, la libertà di un individuo? O qualche altra parte in causa ha eseguito questi approfondimenti che non risulterebbero, però, nel fascicolo?
Sorvoliamo su ciò, dicevo. Di incongruenze è piena l’escursione del teste di accusa, dalla quale, semplificando, si deduce che tutto faccia acqua da tutte le parti.
A cominciare dai decreti del magistrato su cui il nucleo investigativo ha basato i suoi accertamenti. In un filone, ad esempio -secondo quanto ricordato dall’ex Ispettore- si invitava a verificare se le accuse mosse verso Gatti negli interrogatori di imputati di altri procedimenti fossero fondate. Accuse che, però, direttamente verso Gatti -secondo quanto ricostruito dal difensore- in quei verbali non ci sarebbero mai state.
Che dire poi del lavoro investigativo, distrutto dallo stesso coordinatore dello stesso quando incalzato dall’Avv.Cocco e dell’uso fatto, all’apparenza molto superficialmente, degli esiti fumosi di queste investigazioni che, almeno per quanto sostenuto in aula dal teste, non avrebbero prodotto alcuna prova concreta e chiara a supporto di tesi accusatoria, arrivando addirittura ad indicare come indizio di colpevolezza dell’imputato una delibera del Congresso di Stato assunta in una seduta in cui lo stesso era assente?
Come è possibile, oggi, avere nostalgia di quella gestione della giustizia sammarinese?
Enrico Lazzari