[c.s.] Il recente successo della Nazionale U16 ai Campionati Europei di Divion C ha regalato al movimento cestistico sammarinese una certa visibilità.
La Federazione Sammarinese Pallacanestro (FSP) sta lavorando e programmando da anni con impegno e professionalità per darsi una struttura sempre più organizzata e competitiva che le permetta di crescere e consolidarsi.
Tutto, naturalmente, parte dal minibasket, dalla vitalità e dalla gioia dei bimbi che imparano l’amore per la palla a spicchi, correndo per il campo e segnando i primi canestri.
Oggi la Repubblica del Titano conta ben tre Centri Minibasket: il principale è Fonte Dell’Ovo con i suoi 77 giocatori, poi ci sono Serravalle con 30 e Acquaviva con 25. Numeri di tutto rispetto, in sensibile crescita.
Per fare il punto della situazione abbiamo fatto due chiacchiere con coach Oscar Valentini, Responsabile Minibasket della FSP e capo-allenatore del polo di Fonte Dell’Ovo.
La prima domanda, Oscar, non può che essere tecnica: come è strutturato il Settore Minibasket?
Il minibasket si rivolge ai bambini di età compresa tra i 6 e i 10 anni. La categoria dai 6 ai 7 anni è quella dei Pulcini, poi ci sono gli Scoiattoli dagli 8 ai 9 e gli Aquilotti dai 9 ai 10. A seguire c’è la categoria degli Esordienti U12, tecnicamente ancora inclusa nel minibasket, ma di fatto un livello di passaggio tra il minibasket e il basket giovanile, dal momento che cominciano ad essere introdotte alcune regole della pallacanestro vera e propria, quali, ad esempio, il limite dei falli personali e i canestri ad altezza regolamentare.
Da qualche anno la FIP pretende giustamente che allenatori e dirigenti responsabili conseguano il patentino specifico per poter stare in campo con i bambini.
Cinque anni fa la FSP mi ha assegnato l’incarico di Responsabile proprio per portare avanti un lavoro di programmazione più professionale e strutturato.
Come hai cominciato e come hai visto crescere il movimento?
Ho iniziato nel 2000 aiutando in maniera “soft” coach Sergio Del Bianco.
L’anno successivo ho fatto il corso per allenatore e ho subito cominciato a lavorare con una ventina di bambini. Da qualche anno a questa parte i praticanti sono bel oltre il centinaio, segno evidente della crescita del movimento.
Si può sempre fare meglio, fermo restando che siamo un piccolo stato.
Come fate reclutamento?
Ho iniziato 6/7 anni fa dalle scuole elementari, organizzando un torneo con le classi quarte. Ogni anno scolastico è dedicato ad uno sport e il basket è lo sport del quarto anno. Oltre al torneo facciamo un paio di ore di allenamento la settimana in tutte le scuole da novembre a dicembre. Per anni me ne sono occupato personalmente, ma quest’ anno ho lasciato il lavoro nelle mani di coach Stefano Rossini, per avviare un progetto di centro estivo. L’estate scorsa, la prima di attività, abbiamo avuto un ottimo riscontro. Il centro estivo consiste di due settimane in giugno alla fine della scuola e di due settimane in settembre prima dell’inizio delle lezioni: il 50% delle attività riguardano il basket.
Buona parte degli iscritti aveva già partecipato ai corsi di minibasket ed è stata determinante per coinvolgere gli amici.
Il passaparola è importante, ma la miglior pubblicità resta il lavoro fatto bene in un ambiente sano.
Perché giocare a minibasket?
E’ uno sport di gruppo, che insegna il rispetto verso compagni e verso l’allenatore.
Non si può fare cioè che si vuole, ma bisogna collaborare: in una partita basta che un solo giocatore non si impegni perché tutta la squadra ne subisca le conseguenze. E’ uno stimolo a dare di più.
E’ una grande forma di educazione e richiede attenzione e concentrazione, perché è uno sport molto difficile, con tante regole. Servono gradualità e una metodologia che partono dal gioco e dal coinvolgimento. Nella mia vita ho provato tanti sport, ma il basket è quello che da subito mi ha entusiasmato più di tutti.
Il basket, poi ,lavora tantissimo sulla coordinazione, perché bisogna sincronizzare braccia, gambe, occhio e mano. E se migliora la coordinazione motoria diventa più facile imparare e “assorbire” i fondamentali.
E’ un problema quando un bambino inizia a giocare avendo saltato il minibasket: non è impossibile recuperare, ma si parte ad handicap. A quel punto diventa indispensabile ascoltare tutto, ascoltare l’allenatore e osservare. Per recuperare il tempo perduto serve maggiore attenzione e il compagno più avanti diventa un esempio da imitare.
Qual è tua filosofia?
A me non piace l’aggressività nello sport. Certo, ci devono essere agonismo, grinta e voglia di vincere, ma non devono sconfinare nella cattiveria, o nella volontà di umiliare l’avversario. Quando incontriamo squadre molto più indietro di noi, ad esempio, evito la pressione a tutto campo e chiedo ai miei di tenere la posizione difensiva, evitando di forzare i contatti e di essere troppo “agguerriti”.
Con i bambini sono sempre molto chiaro, spiego tutto e cerco di non mentire, perché capiscono benissimo se provi a prenderli in giro. Cerco di spiegare che chi gioca meno una volta giocherà di più in altre occasioni: sanno benissimo chi tra loro è più avanti e chi è più indietro. Il compito del minibasket, del resto, è proprio quello di far crescere tutti, per portare avanti quanti più giocatori possibile, non solo quelli più talentuosi.
Naturalmente un aspetto fondamentale è tener conto del carattere del bambino: c’è quello timido che tende a “nascondersi” e quello troppo esuberante che va contenuto.
Cosa ti piace di più del tuo lavoro?
Vedere la crescita di un bambino che arriva senza nemmeno sapere tenere una palla in mano e se ne va sapendo fare quasi tutto, passaggio, palleggio, tiro, difesa.
Si “plasma la materia”. Comincio a lavorare con i bambini a 6 anni e li lascio a 11, quasi come un maestro elementare. Mi affeziono molto ed è sempre dura quando arriva il momento di separarci. Naturalmente continuo a seguirli a distanza, ma non sono più “miei” giocatori.
Soddisfazioni particolari?
Tante.
Ovviamente ho avuto gruppi che mi hanno dato soddisfazioni maggiori, ma comunque i risultati migliori si ottengono sempre con i bambini ai quali riesco a trasmettere la passione e questo dipende, ovviamente, sia da me che da loro.
Ed è molto bello quando le gratificazioni arrivano non solo dai bambini, ma anche dalle familgie.
A proposito, come si gestisce il rapporto coi genitori?
Ci vogliono tanta pazienza e tanta calma. Cercare di capire se il bambino ha bisogno di dolcezza o di durezza, capire la sua sensibilità e di conseguenza capire il genitore. Avere un buon rapporto con le famiglie è determinante, perché i bambini non sono maggiorenni e autonomi. Cerco di accogliere le richieste e le osservazioni dei genitori e di creare un clima di collaborazione, ma allo stesso tempo sono pronto ad arginarli se serve. Cerco di evitare gli scontri, perché inevitabilmente si riflettono sul bambino: in quindici anni sono riuscito quasi sempre a farlo, anche se in paio di occasioni è stato proprio impossibile. I ruoli e le professionalità vanno rispettati.