Il 3 maggio è la giornata per la libertà di stampa. Molti i commenti, molte le note critiche.
Certo, sembra che qualcosa si stia incrinando, forse preludio di una colossale caduta.
Ma qual è il nemico di questa libertà?
La menzogna, certamente. Un potere che vuole sottomettere gli uomini e mantenerli in soggezione. La manipolazione evidente in tanti, troppi ambiti di vita.
Siamo di fronte a una grave forma di potere, che il più delle volte si manifesta per la sua tracotanza. Però qui è facile, credo, smascherarla. Almeno per chi vuole resistere e conservare la propria identità.
Ci sono però dei casi in cui è più difficile accorgersi del pericolo della omologazione, perché si instaura un processo (penso a quella che è chiamata la «finestra di Overton») che porta a pensare come naturale e ovvio quello che fino a tempo fa sembrava il suo opposto.
Ma non credo sia ancora il pericolo più grave.
Cerco di fare un esempio, per far capire il mio pensiero.
In questi giorni Papa Francesco è stato in visita apostolica in Ungheria. Ho letto i suoi discorsi e mi hanno colpito, anche perché sono apparsi come il contrario di quanto sembrava che il papa in questione avesse potuto dire. Era stato descritto come in antitesi con le posizioni politiche e culturali ungheresi, e poi abbiamo ascoltato il riconoscimento delle politiche familiari di Orban, il rifiuto della cultura gender, un giudizio chiaro su una accoglienza non indiscriminata…
E poi ho letto alcuni resoconti, sui social.
Oltre che alla confusione per cui si faceva riferimento, nel rendere conto di quanto affermato, a testi espressi in altro contesto, mi ha impressionato la conclusione dell’articolo: «Le parole del Papa non mancano di suscitare irritate reazioni nel mondo della difesa dei diritti delle donne. C’è chi parla di cultura patriarcale, di ideologie retrograde alimentate dal Pontefice, e di una Chiesa lontana dalla realtà.»
Beh, mi sono chiesto, che c’entra questa conclusione con il contesto? Quando mai, nel rendere conto di un avvenimento, ci si preoccupa così insistentemente di indicare che altri sono contrari a quanto affermato? Non che non sia lecita la critica, ma qui mi sembra proprio fuori posto. Oltretutto non si trovano comunicati che ne stigmatizzino le posizioni, e neppure (ma questo accade sempre più spesso) posizioni che cercano di approfondire quanto affermato dallo stesso pontefice.
Una volta Martin Luther King disse: «Non ho paura della cattiveria dei malvagi ma del silenzio degli onesti», e s. Caterina da Siena «Avete taciuto abbastanza. E’ ora di finirla di stare zitti! Gridate con centomila lingue. Io vedo che a forza di silenzio il mondo è marcito».
È questo il vero pericolo della libertà di stampa, l’accettare tutto senza reagire coraggiosamente, in modo che il falso ad un certo punto sembri l’ovvio.
Sì, è il coraggio ciò che è più necessario, quella virtù che così viene descritta nel vocabolario: «Forza d’animo connaturata, o confortata dall’altrui esempio, che permette di affrontare, dominare, subire situazioni scabrose, difficili, avvilenti, e anche la morte, senza rinunciare alla dimostrazione dei più nobili attributi della natura umana: […] avere il coraggio di dire la verità».
Quel coraggio che sa riprendere queste affermazioni controcorrente del Papa: «È questa la via nefasta delle “colonizzazioni ideologiche”, che eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender, o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato “diritto all’aborto”, che è sempre una tragica sconfitta».
I protagonisti della libertà di stampa siamo, e saremo, sempre noi. Qui non c’è delega.
Gabriele Mangiarotti