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Ho ascoltato con attenzione, ieri, durante il dibattito sullo stato della giustizia sammarinese suscitato dalla cosiddetta “Relazione-Canzio”, gli interventi che lo hanno caratterizzato e che tutti, anche oggi, possiamo riascoltare su queste stesse pagine elettroniche.
Uno in particolare mi ha -diciamo- “colpito”, quello di Nicola Renzi, Repubblica Futura, dal 27 dicembre 2016 al 7 gennaio 2020 Segretario di Stato alla Giustizia nel governo AdessoSm.
Segretario di Stato alla Giustizia, infatti, negli anni più controversi della gestione sammarinese della stessa Giustizia. Negli anni in cui le cronache giudiziarie erano pressochè monopolizzate da un Giudice inquirente, Alberto Buriani, che sarà presto alla “sbarra” in uno dei procedimenti che lo vede imputato e che, all’epoca, per le sue inchieste “spazza-politici” (solo alcuni) era meta di pellegrinaggio degli altrettanto famosi Buriani-boys, fra cui, se la memoria non mi tradisce, anche lo stesso Renzi.
E ancora, era il vertice politico della giustizia sammarinese negli anni in cui era Segretario di Stato alle Finanze quel Simone Celli a sua volta, oggi, risulta rinviato a giudizio in compagnia dello stesso giudice Buriani; negli anni in cui il Tribunale era teatro di uno scontro interno che ai nostri giorni farebbe passare per pacifisti -si fa per dire ovviamente- sia Putin che Zelensky; nei giorni in cui si chiudeva con una controversa sentenza di condanna il primo grado del processo Mazzini, decretando l’eliminazione di una intera generazione politica, sentenza poi smentita pressochè in toto dal Giudice di appello…
Il nostro “censore” della riforma del Codice Penale era ministro nei giorni in cui -lo dice la relazione conclusiva della Commissione di inchiesta su Banca Cis, approvata anche dai compagni di partito dell’ex Segretario Nicola Renzi- una “cricca”, potendo contare su “sensibilità” politiche, “amicizie” togate e media attenti su talune questioni e distratti su altre, aveva praticamente conquistato il potere vero a San Marino, “governando” di fatto le istituzioni chiave in ambito finanziario. E, forse, non solo finanziarie, visto che una testimonianza giurata rilasciata alla Commissione di Inchiesta ha addirittura reso concreto il dubbio che qualche arresto eccellente fosse stato perlomeno “caldeggiato” dagli uffici di Banca Cis.
Erano anche gli anni in cui, si ricordi, tal Nicola (personaggio non meglio identificato e identificabile con certezza, come si legge a pag.42 delle conclusioni della Commissione di inchiesta) veniva intercettato in una telefonata, per certi versi inquietante e da qualcuno letta come “suggerimento” di azione politica al governo, con l’imprenditore Marino Grandoni, già “socio proprietario” di Banca Cis, rinviato a giudizio nell’aprile scorso con i vertici dello stesso istituto, che esprimeva il suo accalorato dissenso per la gestione di Banca Centrale.
Un rinvio a giudizio, quello dei vertici di Banca Cis, che indusse il consigliere Gerardo Giovagnoli ad evidenziare un forte ritardo nella conclusione di quell’indagine e denunciare che “in questo (ritardo; ndr) è stato determinante che una parte del tribunale era sicuramente responsabile nell’avere protetto, nascosto, complottato, assieme ai vertici di quella banca”. Una accusa durissima, chiara e lanciata senza condizionali!
Ma, chi era il Segretario di Stato alla Giustizia negli anni in cui, secondo Giovagnoli, “una parte del tribunale” avrebbe “complottato assieme ai vertici” del Cis? Forse proprio Nicola Renzi, che ieri “pontificava” le sue critiche e la sua “ricetta” per “guarire” una giustizia -quella attuale ovviamente, non quella che ha guidato fino al 2020- che non piace né a lui né al suo partito. Forse, Repubblica Futura ripiange lo stato del Tribunale e della Giustizia di qualche anno fa, quando a governarla c’era il “suo” Nicola Renzi?
Ma l’apice dell’intervento dell’ex coordinatore dell’allora Alleanza Popolare è stato sulla “terza istanza”, il terzo grado di giudizio, definito da Renzi “sensato” nella sua peculiarità, ma dalle “tempistiche inammissibili” perchè giunto in precedenza alla sentenza di appello del Processo Mazzini. Quindi, sintetizzando all’estremo il “Renzi-pensiero”: il terzo grado di giudizio è un diritto sacrosanto di una giustizia giusta, ma andava introdotto successivamente, ovvero non andava conferito agli imputati del processo Mazzini! E lo ha sostenuto davvero! In altri toni e sfumature, ma il senso mi è apparso chiaro quanto “liberticida”.
Eppure, il terzo grado di giudizio non è altro che l’attuazione del programma di governo che AdessoSm presentò alle politiche del 2016 che poi vinse. “Non è più rinviabile -vi si leggeva a pagina 9- l’adozione del nuovo Codice di Procedura Penale (…). Andrà inoltre prevista l’introduzione di una Terza Istanza anche nella giurisdizione penale…”. Sì, quella stessa istituzione di garanzia, quella terza istanza contro cui oggi tutta Repubblica Futura si scaglia con decisione e veemenza.
Eppure, se RF, assieme alle altre forze di quel governo, anche grazie al Segretario di Stato alla Giustizia, avesse rispettato gli impegni presi con gli elettori in campagna elettorale, la Terza Istanza sarebbe entrata a regime anni prima della sentenza di secondo grado del Mazzini.
Le critiche di Renzi e Repubblica Futura sull’iter temporale del provvedimento, quindi, dovrebbero essere, forse, sonore autocritiche?
Enrico Lazzari