SAN MARINO. “Giustizia e verità, le «armi» della pace”…di Don Gabriele Mangiarotti

«Quando si usa violenza non si sa più nulla su Dio, che è Padre, e nemmeno sugli altri, che sono fratelli. Si dimentica perché si sta al mondo e si arriva a compiere crudeltà assurde. Lo vediamo oggi nella follia della guerra, dove si torna a crocifiggere Cristo. Sì, Cristo è ancora una volta inchiodato alla croce nelle madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli. È crocifisso nei profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio. È crocifisso negli anziani lasciati soli a morire, nei giovani privati di futuro, nei soldati mandati a uccidere i loro fratelli. Cristo è crocifisso lì, oggi» «Si depongano le armi! Si inizi una tregua pasquale (…) per arrivare alla pace, attraverso un vero negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene della gente. Infatti, che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?» (Papa Francesco, Domenica delle Palme 10 aprile 2022).

La costante preoccupazione della Chiesa, con l’accorato appello del Papa Francesco per la pace, mostra l’unica strada possibile, e realista, di quel realismo che solo la fede può indicare, perché accada nel mondo il miracolo di una umanità non più sconvolta dall’incubo della guerra.

Questi giorni drammatici – che hanno, però, visto l’aprirsi dei cuori all’accoglienza e alla fraternità – chiedono a tutti un cambiamento di mentalità, un impegno reale per la pace, che ha come sua condizione la verità. Ricordava s. Giovanni Paolo II che «opus pacis veritas», facendo l’eco al profeta Isaia: «Effetto della giustizia sarà la pace, frutto del diritto una perenne sicurezza.»

Giustizia e verità sono la perenne condizione per una pace autentica, là dove la giustizia non si compie attraverso un equilibrio di posizioni contrapposte, ma si realizza attraverso la completa verità sulla realtà e sulla vita umana.

Non è quindi la pace un precario equilibrio di forze, ma, come continuamente la Chiesa richiama, il cammino di una convivenza umana che, riconoscendo la paternità di Dio, ci fa rispettare tutti come fratelli.

Mentre scrivo, e ho anche di fronte le immagini terribili della guerra in atto, scorrono le notizie delle ingiustizie che riempiono gli spazi che dovrebbero essere della vita e della libertà: «Ci sono numeri che al Palazzo delle Nazioni di Ginevra non sembrano aver mai sentito: 50 milioni, il numero di cinesi passati dai laogai, i “carceri amministrativi”; 2 milioni, il numero di cinesi ora nei campi di lavoro forzato; 30 milioni, il numero di bambine cinesi cui il regime ha impedito di nascere quando era in vigore la “politica del figlio unico” (fino al 2015) tramite aborti e infanticidi; 10.000, il numero dei morti della repressione di piazza Tiananmen…» ricorda Giulio Meotti. «Nel Sudan, dopo essersi convertita al Cristianesimo, una coppia sposata di cristiani è attualmente sotto processo penale. Nada e Hamouda erano entrambi musulmani quando si sono sposati nel 2016. Nel 2018 Hamouda si è convertito al Cristianesimo, e come risultato diretto della sua conversione, un tribunale della Sharia ha annullato il loro matrimonio…» ricorda l’Osservatorio sulla cristianofobia. «L’Afghanistan continua a sprofondare in una crisi umanitaria che analisti ed esperti avevano annunciato, dopo il ritiro occidentale e la riconquista talebana del Paese: il 95% della popolazione continua ad avere un consumo alimentare inadeguato; oltre l’85% delle famiglie che in precedenza avevano un reddito ha dichiarato di non aver percepito uno stipendio a febbraio; almeno 23 milioni di persone (più della metà della popolazione) si trovano già in condizione di insicurezza alimentare. Da mangiare al massimo c’è solo pane, persino zuccherare il tè è un lusso. Almeno 26 madri e 13.700 neonati sono morti dall’inizio dell’anno per la mancanza di cibo, affermano i dati del ministero della Salute» ricorda Asianews.

E questa è solo la millesima parte di quanto troviamo sui social, notizie che per lo più scompaiono nella stampa ufficiale che sembra preoccupata più di indottrinare che di informare.

Ma che cosa aspettiamo? Forse nel tempo della Pasqua, ricordando la passione dell’innocente Gesù e la sua Resurrezione, potremmo decidere di imparare quanto ci è stato insegnato negli anni del catechismo e che troppo presto abbiamo dimenticato. E la nostra storia di Repubblica tra le più antiche potrebbe diventare quel faro di civiltà che il mondo attende. E mostrare che un modo di vita che prende in considerazione i fondamenti cristiani del vivere risponde alle esigenze del cuore dell’uomo e apre a una speranza affidabile.

Quanto fatto da amici per accogliere madri in difficoltà e fare nascere i loro bambini, le opere di condivisione e di carità «senza confini», le case aperte nell’ospitare i profughi ucraini, insieme alle tante altre opere presenti tra noi, che continuano la tradizionale accoglienza del nostro popolo ci mostrano che la pace non è una utopia, ma è già possibile: «opus iustitiae pax».

Gabriele Mangiarotti