San Marino. Gli antichi Statuti rivivono dopo 730 anni, nella riedizione critica curata dal professor Enrico Angiolini

Le prime notizie sull’esistenza di Statuti nella comunità di San Marino risalgono al 1253, ma la prima redazione conservata fino a noi risale al periodo tra il 1295 e il 1302. Allo scadere del 730esimo anniversario, le istituzioni sammarinesi promuovono un intenso programma di celebrazioni, fatto di eventi culturali e scientifici, un ciclo di conferenze, una mostra documentale, un annullo postale. La prima data in calendario ieri pomeriggio, a Palazzo, alla presenza dei Capitani Reggenti, con la presentazione ufficiale della riedizione critica del “Liber statutorum Comunis castri Sancti Marini”, corredata dalla traduzione in lingua italiana e curata dal professor Enrico Angiolini. 

L’Archivio di Stato – ha esordito il Segretario di Stato Teodoro Lonfernini – ha voluto riconoscere il valore storico e simbolico degli antichi Statuti conservati nei suoi fondi, avviando una revisione e un aggiornamento delle precedenti edizioni, realizzate tra la fine del XIX e del XX secolo”. Ma c’è in essi anche il valore identitario di una comunità organizzata, dedita alla difesa di quella sovranità e indipendenza, che oggi hanno un ampio riconoscimento internazionale. “Non si vuole fare un mero esercizio di memoria, ma un rinnovato impegno di tutela della nostra identità” ha chiosato Lonfernini di fronte ad un pubblico formato non solo da storici e studiosi, ma anche da tanti cittadini. 

Avrebbe potuto esserci un rischio di assuefazione per un docente che da 30 anni fa di mestiere lo studioso di statuti antichi; invece, quelli sammarinesi hanno affascinato anche il professor Enrico Angiolini, storico di fama internazionale, per le peculiarità in essi contenute. “Un caso unico – ha sottolineato – perché hanno segnato la continuità di un Paese che è giunta fino a noi”. 

Alla fine del ‘200, San Marino può già essere considerato un comune di castello, che gode di franchigie e di chiari ambiti di autonomia, che può permettersi di regolare la sua vita interna secondo il proprio potere di emanare regole giuridiche. Angiolini definisce il testo “arcaico” per certi versi, e per altri “grezzo” in quanto non presenta traccia di suddivisione delle materie, tanto che potrebbe sembrare confusionario. Eppure, nonostante alcune Rubriche si siano perse, quelle rimanenti descrivono una struttura istituzionale che fa della comunità sammarinese un caso esemplare, tra l’altro conservatosi per millenni nella sua sostanzialità. La comunità era retta da un capitano e da un difensore, la cui elezione era affidata a 12 boni homines del consiglio scelti dal capitano in carica. Il giuramento richiesto riassume la classica difesa dell’istituzione, delle persone che la rappresentano, delle sue leggi e del Santo Fondatore. 

Gli organismi deliberativi per un certo periodo rimangono il consiglio e l’arengo, come assemblea originaria dei rappresentanti di ogni famiglia. Il consiglio, più ristretto, nasce in un secondo momento, con motivazioni pratiche, perché le assemblee erano diventate troppo affollate e poco efficaci. L’unica regola vigente per i membri era quella di partecipare alle assemblee e di parlare uno alla volta, senza alcuna indicazione, almeno in questa fase, riguardo alla composizione numerica. 

Interessantissime le rubriche che trattano materie giuridiche, come la procedura giudiziaria verso i debitori insolventi e i danni dati. Ovvero, il pascolo abusivo, la raccolta di frutti non di proprietà, l’uccisione di animali, il furto del raccolto, lo spostamento di confini. Erano danni che andavano a colpire risorse fondamentali per la sopravvivenza delle persone e delle famiglie, quindi la normativa mira il più possibile a identificare il colpevole. Per questo era prevista la figura di una sorta di guardie campestri, i gualdari, che avevano il dovere di emendare il danno anche quando non veniva trovato il colpevole. C’era in sostanza l’idea di scaricare il danno, una volta assodata l’innocenza del danneggiato, ad una presunta responsabilità collettiva. Da queste rubriche si ricava anche l’immagine di un territorio in cui la coltura della vite era quella più presente e che esisteva una regolamentazione per l’allevamento di animali: in campagna, ad esempio, si potevano allevare più capre che in città. 

C’è anche una norma di un’attualità quasi sconcertante, contenuta in una delle rubriche più tardive di quel periodo, quando si legge che in una riunione dell’arengo, con la dichiarata partecipazione dei due terzi, si decide si proibire a nobiles e potentes di stabilirsi nell’abitato sammarinese. Una vera e propria ordinanza per scongiurare il pericolo che qualche “riccone” dell’epoca entrasse nella comunità e aspirasse a esiti signorili, stravolgendone l’identità. 

La storia non finisce qui” ha concluso il professor Angiolini prima dell’intervento della Reggenza. Tra qualche tempo, infatti, si andrà a mettere mano agli Statuti del 1352 – 1353 a su tempo editi da Francesco Balsimelli.