San Marino. Gli anticorpi della democrazia: stampa e giustizia. Il caso titoli.
Avv. Achille Campagna – 24 maggio 2018
La Corte di Strasburgo, che vigila sul rispetto della CEDU, ci spiega come la stampa rappresenti il più importante guardiano della democrazia (watchdog of democracy, caso Dupius et autres c. France).
È compito della stampa informare la collettività e dare a tutti i cittadini gli elementi sui quali debbono formarsi le loro opinioni, l’opinione pubblica.
Senza questo ruolo fondamentale della stampa, la collettività vive nell’ignoranza di quel che accade e non può reagire ad abusi, desideri di egemonia, colpi di stato, perché semplicemente non se ne accorge, ne resta ignara.
Esiste poi la disinformazione, che va ancora oltre: non solo non informa, ma inganna, illude la collettività di qualcos’altro, qualcosa di diverso dalla realtà.
Oggi a San Marino c’è una stampa, che si chiama Giornalesm.com e che fa il suo lavoro con un coraggio incredibile, ma che subisce anche continui attacchi, persino da parte di hackers e loro mandanti desiderosi di metterla a tacere.
Non accade questo ad altri siti e news outlets, che non hanno pubblicato l’Ordinanza sul Caso Titoli.
Il fatto che ancora a San Marino esista una stampa così, significa che il paese ha gli anticorpi, la capacità di reagire ancora di fronte ad insidie esterne ed interne, che cercano di impadronirsi del paese.
La stampa non è l’unica a reagire, c’è anche il Tribunale, o almeno una parte di esso, che ha manifestato a chiare lettere di non genuflettersi di fronte a pressioni da parte né della politica né dei poteri forti dal fare più o meno spregiudicato.
Stampa e giustizia sono gli anticorpi di San Marino, attributi che emergono e vengono apprezzati solo quando la partita si fa difficile: di certo quando vivevamo tutti nella bambagia non si avvertiva il bisogno – miopia, purtroppo –né di una giustizia troppo presente né di una stampa troppo attenta.
Ma oggi queste due salvaguardie occorrono più che mai, e devono coesistere in maniera ottimale.
I rapporti fra giustizia e stampa non sono sempre facili, soprattutto quando c’è di mezzo il segreto istruttorio, ed è allora che si deve ricorrere all’insegnamento della Corte di Strasburgo.
La Corte, a partire dal caso DUPUIS AND OTHERS v. FRANCE, per poi giungere al caso BÉDAT v. SWITZERLAND, ha sviluppato una serie di criteri in base ai quali la pubblicazione di notizie e atti di procedimenti penali nella fase dell’indagine possa essere repressa o meno dagli Stati membri.
Nel prossimo articolo andrò a commentare più nel dettaglio questa giurisprudenza, per il momento anticipo che, da un’analisi della giurisprudenza della Corte E.D.U., nessun segreto istruttorio può di per sé vietare la pubblicazione di atti di vitale importanza ai fini dello sviluppo di un dibattito pubblico a fronte dell’impellente necessità ed urgenza dell’informazione verso la collettività su determinati fatti di estremo interesse come il Caso Titoli.
In questo senso mi sbilancio nell’affermare che l’art.192bis c.p., introdotto con Legge N.93/2008, è incostituzionale nel vietare la pubblicazione di atti di procedimenti penali, se applicato in maniera meccanica, in assenza di una valutazione sull’integrazione dei criteri stabiliti in Bedat c. Svizzera dalla Corte di Strasburgo.
In DUPUIS AND OTHERS v. FRANCE, la Corte E.D.U. affronta la questione del segreto istruttorio (soprattutto dal §44 e ss.), poiché questo elemento fu alla base delle condanne a carico di 2 giornalisti.
Detto che nell’accertamento non viene messo in dubbio che:
– i materiali provenissero dall’indagine;
– che questa fosse coperta dal segreto, la cui violazione era punibile ai sensi di legge;
la Corte riscontra comunque la violazione dell’art.10 C.E.D.U., poiché il caso specifico non giustificava la limitazione del diritto/dovere di informare su di un argomento così importante per la collettività.
In particolare è decisiva:
– l’importanza dell’argomento di pubblico dibattito, la veste politica di vari personaggi, elementi che elevano l’intensità di quell’esigenza, in grado di giustificare la limitazione del diritto di cronaca;
– il fatto che preesisteva copertura mediatica, che non fosse plausibile una lesione della presunzione d’innocenza;
– infine, la correttezza del giornalista, da un punto di vista di veridicità delle notizie e la necessità di corroborare gli scritti con elementi fattuali affidabili.
La Corte in principio non dichiara illegittimo il segreto istruttorio, ma riscontra la violazione dell’art.10 della Convenzione dai parte dei Tribunali francesi.
Nella Sentenza citata nel mio precedente articolo, BÉDAT v. SWITZERLAND (2016), la Corte ha ritenuto che un articolo non costituisse un apporto così rilevante ad un dibattito pubblico ma che soddisfacesse esigenze di bassa curiosità.
La Corte enuncia, proprio in questa Sentenza, i criteri in base ai quali debbono essere giudicate le violazioni dell’art.10 in danno dei giornalisti, e di conseguenza il margine repressivo accordato agli Stati.
I cinque criteri possono così sintetizzarsi:
- le modalità con cui il giornalista è entrato in possesso degli atti secretati;
- il contributo dell’articolo ad un pubblico dibattito;
- l’influenza dell’articolo sul procedimento penale;
- l’interferenza nella vita private dell’accusato;
- la proporzionalità della sanzione imposta.
Si segnala infine che i suddetti criteri non compaiono all’improvviso, ma sono il frutto di un’evoluzione giurisprudenziale, nel cui ambito assume rilievo centrale anche la Sentenza AXEL SPRINGER AG v. GERMANY (2012) in cui il la Corte riscontra violazione dell’art.10, quindi l’ingiusta condanna del giornalista, dando peso preponderante all’importanza del dibattito pubblico.
Avv. Achille Campagna