Si parla spesso di crescita ed è indubbio che il Paese stia andando verso la ripresa. Come è però altrettanto certo che sulla sua strada continui a trovare ostacoli vecchi e nuovi. Ad oggi per esempio non si è ancora ben capito il perché le banche protagoniste dei cosiddetti salvataggi si siano viste riconoscere il credito di imposta.
Esso semplicemente serve a compensare un ‘buco’ lasciato da altri. Lo si è fatto in tutto il resto d’Europa dove lo Stato ha provveduto a coprire il buco lasciato da banche che altrimenti sarebbero fallite diffondendo il contagio a macchia d’olio, compromettendo la stabilità dell’intero sistema. Vengono in mente a questo proposito gli aiuti di Stato della Germania alle proprie banche (Landesbank e Sparkasse) e le immancabili polemiche alle quali è stato risposto che uno Stato conserva sempre il diritto di fare quanto serve per salvare la propria economia.
Lo si è fatto anche altrove, tanto per fare un esempio in Irlanda dove proprio in questi giorni, il 9 aprile scorso, è arrivata l’autorizzazione della Commissione Europea al salvataggio della Banca Permanent. Qui a San Marino non c’erano le professionalità per ricorrere alla nazionalizzazione e si è optato per riconoscere il credito di imposta alle banche cui è stato affidato il compito di svolgere il salvataggio. Tale salvataggio è stato compiuto mediante l’acquisizione dei crediti e dei debiti degli istituti che altrimenti sarebbero falliti.
La somma di crediti e debiti dava però uno sbilancio che si è scelto di coprire mediante il credito di imposta. Tale sbilancio negativo derivava dall’inesigibilità di alcuni crediti vantati dagli istituti oggetto del salvataggio sulla cui entità resta in alcuni casi un interrogativo visto che si è lavorato, e si sta ancora lavorando, per riuscire a riscuotere il maggior numero di crediti possibile, diminunendo così il credito di imposta cui si dovrà ricorrere.
Risulta per questo del tutto fuori luogo la sterile polemica legata al credito di imposta e allo sperpero di denaro pubblico visto che si è cercato di fare proprio il contrario, evitando un’emorragia di denaro, accollandosi vari rischi tra cui quelli degli impieghi che in fase di recessione non sono affatto buoni affari.
Non ci sono e non ci saranno mai vantaggi per chi ha acquisito banche che altrimenti sarebbero fallite. Le acquisizioni rappresentavano l’unica strada percorribile per non mettere a rischio l’economia del Paese e per non far venir meno il solo ingrediente indispensabile al mercato: la fiducia.
Dovevano forse pagare i depositanti? A dispetto degli sforzi messi in campo per proteggere il sistema economico e metterlo al riparo dai rischi si continua a ferire quel mercato di cui tanto si parla rimuginando su ciò che è stato e volendo per forza colpire i beneficiari del credito di imposta, ovvero coloro che con i propri sforzi e le proprie energie hanno di fatto scongiurato la perdita dei depositi. Gli stessi pur se privati dovranno abbassare il tetto agli stipendi degli organi di amministrazione e di controllo, dei dirigenti, dei dipendenti e dei collaboratori (così recita l’articolo 41 della finanziaria) infrangendo un’altra regola d’oro del liberalismo.
E questo ancora una volta significherà ostacolare San Marino nel suo percorso volto a diventare un Paese europeo evoluto e all’avanguardia anche sotto il profilo economico. Esso non potrà contare, per affrontare questa sfida, sulla collaborazione di consulenti di chiara fama la cui autorevolezza avrebbe veicolato fiducia e iniettato linfa vitale al sistema. A meno che non capiti quel che è più auspicabile: che chi è chiamato a guidare le leve della politica economica prenda coscienza degli ostacoli e si adoperi in ogni modo per rimuoverli.
Stefano Ercolani, Presidente di Asset Banca