Una mattina di un anno fa, ci siamo svegliati con l’annuncio di Putin che lanciava l’attacco a Kiev. Bisogna “liberare e denazificare l’Ucraina” aveva detto al suo popolo e al mondo. Per noi, abituati ad oltre 70 anni di pace, di crescita, di democrazia, ci è parso di bere il caffè con la stricnina. Da quel momento è cominciato un calvario di bombardamenti, di morti e di distruzioni raccontati minuto per minuto da tutte le televisioni, i siti web, i social. Mai conflitto bellico ha avuto una copertura così estesa e così capillare. Mai azioni militari così cruente sono entrare prepotentemente nelle nostre case. Una guerra lampo diventata guerra di logoramento. E più prosegue, più si fa fatica a capirne il senso.
Primo, perché un conflitto che avrebbe dovuto durare qualche giorno, si trascina ancora senza risultati apprezzabili, cioè senza andare avanti, né indietro. I tg mostrano le immagini di territori sconosciuti, toponimi assolutamente ignoti, dove si combatte all’ultimo sangue. È come se due eserciti si fronteggiassero a Caladino o a Fiumicello. Nessuno ne capirebbe la ragione.
Dopo un anno di guerra, praticamente è rimasto tutto come prima. Peggio: la Russia, che è una potenza nucleare e che era forse la seconda o terza forza militare al mondo, non può perdere e non può ritirarsi. L’Ucraina, militarmente molto più debole, ma capace di stupire il mondo per la sua resistenza, non può vincere, perché è abbastanza arduo parlare di capovolgimenti sul campo di battaglia.
E infatti, la guerra vera la si combatte sul fronte politico diplomatico: Russia contro USA, con la Cina a fare il convitato di pietra. L’esempio eclatante lo si è avuto proprio in questi giorni con la visita a sorpresa del presidente USA a Kiev e la risposta piccata di Putin, che sospende la Russia dal trattato sul nucleare. Punta tutto sull’alleato cinese, ma il portavoce del ministero degli Esteri afferma che Pechino non sta valutando l’invio di armi a Mosca e chiede di smettere di diffondere falsità al riguardo.
Siamo sempre in fondo al pero? Non è del tutto vero, perché in questi 365 giorni sono cambiate molte cose. Primo, perché comunque la Russia, al di là dell’arroganza e delle mistificazioni mediatiche, ha dimostrato una grande debolezza. Due, l’Europa, sempre divisa e sempre litigiosa, ha dimostrato grande compattezza sulla condanna del conflitto e gli aiuti all’Ucraina. La crisi energetica agitata come potente arma di ricatto da Mosca, è stata quasi disinnescata, mentre le sanzioni europee contro Mosca stanno sprigionando il loro potenziale. La Russia comincia ad accusare gravi difficoltà economiche, insieme al malcontento dei suoi cittadini.
Qualche giorno fa, la consigliera presidenziale ucraina Daria Zarivna, ospite di Lucia Annunziata, ha detto che non si celebrerà un secondo compleanno di guerra. E il presidente Meloni, a cui non manca certo l’intelligenza, è andata in visita ufficiale a Kiev due giorni dopo con una delegazione metà politica, metà economica. È chiaro che guarda già all’immenso business della ricostruzione.
I casi sono due: o c’è una svolta nucleare e si va verso la terza guerra mondiale, oppure si trova la strada per un cessate il fuoco da cui far partire le trattative di pace. Scommettiamo per la seconda ipotesi, per quanto sia difficile, perché Putin sa perfettamente fino a dove può tirare la corda. E anche Zelensky sa perfettamente fino a dove può arrivare senza lasciarci le penne.
San Marino come si pone di fronte a questi scenari? Al di là delle frasi trite e ritrite sulla necessità della pace (chi non potrebbe essere d’accordo?) bene ha fatto a schierarsi a fianco dell’Italia e dell’Europa, sia nell’accoglienza dei profughi, sia nell’adozione delle sanzioni (alcune, non tutte). I discorsi sulla neutralità sono belli, senza dubbio, ma antistorici perché un territorio così piccolo non ha mai potuto essere neutrale. La storia racconta la sopravvivenza dello Stato grazie a raffinate e intelligenti operazioni diplomatiche; parla di alleanze, di accordi e di collaborazioni, dal Medioevo ai giorni nostri. Viviamo in un paese dalla bellezza assoluta del paesaggio e delle sue antiche istituzioni; godiamo del benessere e della libertà offerti dalla democrazia. Dobbiamo solo chiederci: ce lo meritiamo?
a/f