San Marino. Ho deciso: voglio fondare un movimento “No Fax” – “Qui gatto… ci cova” la rubrica di David Oddone

Ho deciso: voglio fondare un movimento “No Fax” a San Marino e perché no, pure a Rimini. Chi pensa che in questo modo stia prendendo in giro negazionisti e “pataca” vari, si sbaglia di grosso. L’argomento al contrario è serissimo. Sul Titano e soprattutto in Italia, c’è ancora un grandissimo numero di professionisti, per non parlare delle pubbliche amministrazioni, che continuano a utilizzare i fax per le proprie comunicazioni. Intanto chi lavora in ufficio è potenzialmente colpito dalle polveri sottili emesse da stampanti, fax e fotocopiatrici, e mette a rischio la propria salute. Gli apparecchi che utilizzano il toner durante il processo di stampa liberano particelle di polvere invisibili a occhio nudo, che possono raggiungere i polmoni. Per non parlare del consumo di carta e inchiostro. Quanti alberi salveremmo utilizzando altre tecnologie! Eppure il fax resiste. Non solo. Capita ancora spesso e volentieri che arrivi la richiesta di inviarne uno. E siccome grazie a dio pochi privati ancora ce l’hanno, scatta la ricerca di una cartoleria o di un’edicola che ci faccia spedire le nostre paginette, a caro prezzo e perdendo tempo prezioso. Qualcuno pare non sapere che per gli “irriducibili” esistono da tempo soluzioni semplici ed economiche: sono i fax virtuali che funzionano via email. Questo per chi ancora non vuole proprio utilizzare la Pec. E allora che cosa aspettiamo a eliminare per legge i fax? Ecco, mi permetto allora di consigliare a tutti coloro che in questo particolare periodo storico, conducono battaglie sconclusionate e da Medioevo, negando magari le evidenze scientifiche, di impegnarsi socialmente in qualcosa di utile, ovvero la salvaguardia dell’ambiente. A cominciare dalla sensibilizzazione nello smaltimento delle mascherine, per dirne una. Lasciate perdere gli altri gruppi! Iscrivetevi al movimento “No Fax”! Fatta questa introduzione – e provocazione – fra il serio e il faceto, arrivo al punto del quale vorrei parlare oggi, cominciando da una fondamentale premessa: il ruolo del giornalista è quello di esercitare la professione in modo critico e coerente. Coerente significa seguire le evidenze scientifiche e quindi mai mi sognerei di mettere in discussione i vaccini. Ma la critica alla quale sono tenuto, perché è mio diritto insopprimibile, mi fa storcere il naso e sorgere qualche dubbio nel momento stesso in cui leggo, ad esempio, che a Pavia solo il 20% degli operatori Rsa è per il vaccino contro il Covid. Qui non parliamo di pericolosi negazionisti, ma di gente qualificata. E la risposta non può essere “rendiamolo obbligatorio per loro e se non accettano li radiamo dall’albo”. Io penso invece che sull’argomento ci debba essere maggiore chiarezza e trasparenza. La gente va convinta con la forza della scienza, con una campagna mediatica mirata che possa tranquillizzare le persone, fatti alla mano. Utilizzare la frusta è solo controproducente. A questo proposito vorrei citare un mio conoscente, una persona normalissima, che ha un ruolo di dirigente presso una azienda della zona. Lui in maniera semplice e lineare ha espresso un concetto condivisibilissimo e che dovrebbe convincere anche i più scettici: “David, siccome il vaccino anti coronavirus lo fanno prima i medici, non penso che milioni di loro in tutto il mondo siano così scemi da suicidarsi o comunque inocularsi qualcosa che fa male. Per questo sono tranquillo e spero di vaccinare me e i miei genitori al più presto”. Ecco allora che se cominciassero ad essere proprio medici e infermieri a non volersi vaccinare – al netto di minacce di radiarli dall’albo e quindi farli finire in mezzo a una strada – qualche problema comincerebbe a sorgere e noi giornalisti, visto che è il nostro ruolo, un paio di domande dovremmo anche cominciare a porcele. Stiamo a vedere: per il momento resto assolutamente fiducioso e convinto che sarà la scienza a farci uscire dal tunnel del coronavirus e non qualche improvvisato “ricercatore” da tastiera.

David Oddone

Rubrica “Qui gatto… ci cova”