E’ del 23 marzo una sentenza (n.1/2015) del Collegio dei Garanti relativa al Sindacato di Legittimità Costituzionale n. 0005/2014 sollevata nella causa civile n. 4 /2007 relativamente agli articoli 128 e 129 della Legge sul Diritto di Famiglia 49 del 26 aprile 1986.
La causa civile, ripetiamo del 2007, è relativa ad un procedimento di scioglimento di matrimonio. L’incostituzionalità dei due articoli, invece, riguarda una procedura da tempo comunemente utilizzata come da dettato giuridico in senso stretto dei due articoli.
Precisamente, si legge nella sentenza: “… nella parte in cui, in assenza di accordo tra le parti, impongono una definizione congiunta e con unica sentenza della pronuncia di divorzio e di tutto gli aspetti controversi sull’assegno periodico del coniuge e sugli obblighi nei confronti dei figli”.
In sostanza l’incostituzionalità riguarda il fatto che la sentenza di divorzio non può essere pronuncia- ta in assenza di un accordo totale tra le parti.
Riflessi negativi, quindi, sulla libertà di contrarre, ad esempio, nuove nozze per via tempi lunghi per la chiusura della causa.
La motivazione di questo paletto (nel 1986) fu la necessità della “inscindibilità l’esigenza di tutelare le parti più deboli della famiglia che si stava spezzando”.
Il ragionamento del Collegio dei Garanti nell’emettere la sentenza (12 pagine) la settimana scorsa
è molto semplice: “Il testo degli articoli 128 e 129 non dice esplicitamente che non è ammessa la scindibilità; dunque le parole del testo possono essere interpretate nel senso che la scindibilità è ammessa se il giudice ha accertato che sussiste una delle ragioni in base alla quale la Legge prevede lo scioglimento del matrimonio anche se la definizione in ordine all’assegno al coniuge più debole e in ordine alle disposizioni relative ai figli viene demandata ad una successiva sentenza”.
Tradotto dal linguaggio giuridico a quello più consono all’uomo comune: ‘intanto concediamo il divorzio in nome della libertà e della Carta dei Diritti; le altre questioni si dibatteranno dopo’.
E’ in sostanza un evitare che il divorzio dia origine ad una serie di azioni ricattatorie, di pressione del tipo: “Ti concedo il divorzio solo se…”. Un sistema perverso.
Così facendo verrebbe evitato a questi procedimenti di impantanarsi per anni; cosa, invece, che facilmente si verifica con l’unicità della sentenza.
Per la richiesta si risoluzione tempestiva della parte “economica” di un divorzio entra in campo pure un’altra considerazione importante per il coniuge più debole.
L’importo degli alimenti al tempo della separazione ha un valore che, nel caso del protrarsi per anni della causa di divorzio, diverrebbe sorpassato.
Da qui la rivoluzione che la sentenza dei Garanti porta nel Diritto di Famiglia dopo 20 anni dalla sua approvazione.
Per aggiornarla sarà sufficiente stralciare il concetto di unicità dei tre punti base per il divorzio (motivazioni, alimenti, affidamento dei figli).
Si sbloccherebbero situazioni “congelate” da anni come quella di cui il parere di qualche giorno fa dei Garanti: risaliva al 2007.
Si apre pertanto una nuova strada alle coppie sammarinesi che hanno raggiunto il capolinea della loro storia sentimentale: possono essere ridotti i tempi per avviarne una nuova, sperando che sia più fortunata.
Una accelerazione temporale su cui l’Italia è già avviata.
Sembrano lontani i tempi in cui San Marino era il porto di ancoraggio per coppie italiane (soprattutto famose e di buon reddito) che chiedevano aiuto alla Repubblica per sistemare le personali situazioni familiari.
Nel Parlamento italiano è giacente un Disegno di Legge che vuol allineare la legislazione a quello di altri Paesi europei in materia di Diritto Familiare.
Il Disegno è già stato approvato dalla Camera dei Deputati, manca solo l’Ok del Senato.
Sarà un cambiamento storico, sul tipo della recente sentenza del Collegio dei Garanti, che ridurrà l’attesa tra l’avvio della crisi coniugale e la rottura definitiva anche in caso la coppia abbia figli minorenni. Infatti il progetto di legge consente di divorziare dopo appena sei mesi dalla separazione consensuale, se invece è giudiziale occorrerà un anno.
Una vera e propria riforma. A San Marino al momento supplita dal ‘mediatore familiare’.
Al momento i coniugi italiani, per presentare la richiesta di divorzio, devono aspettare tre anni (a San Marino due) e statisticamente ne aspettano
Mediatore familiare.
Se moglie e marito intendono separarsi, divorziare o anche cambiare le condizioni già fissate dal giudice possono rivolgersi a un avvocato-notaio per raggiungere una soluzione consensuale. Non sarà più necessario passare dal giudice, che finora era tenuto a verificare l’irreversibilità della crisi coniugale e la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge.
Ulteriori 3-4 per ottenere la definitiva chiusura del rapporto coniugale.
Nel progetto di legge, inoltre, c’è una precisazione molto significativa. La nuova normativa sarà applicata pure a tutte quelle situazioni già in atto conservando, comunque sia, il paletto dei sei-dodici mesi.
Nei primi anni del dopoguerra San Marino, Stato di impronta socialista, il divorzio era possibile per legge.
La legittimità delle sentenze di divorzio emesse sul Titano era stata, addirittura, riconosciuta dalla Corte di Appello di Torino, e per questo valide anche in Italia. Tanto che molti italiani per ottenere l’annullamento del proprio matrimonio si trasferivano in Territorio.
Ma ad essere annullati erano solo i matrimoni ‘religiosi’; al tempo sul Titano erano riconosciuti soltanto se si andava in Chiesa, quelli ‘civili’ furono istituiti solo nel 1953.
Divorziare era piuttosto facile. Bastava risiedere ufficialmente per un certo periodo a San Marino per poi chiedere e ottenere lo scioglimento matrimoniale. Insomma, molti ‘divorziandi’ erano ‘finti residenti’.
In Italia per arrivare ad una Legge specifica sul divorzio si dovette attendere il 1970 confermata dal Referendum del 1974.
Gian Maria Fuiano, La Tribuna