
Il 15 settembre ha segnato un appuntamento che, per molti, è più di una semplice data sul calendario. È l’inizio di una stagione che ha il sapore dell’alba, dell’erba bagnata e del silenzio della natura che si risveglia. L’apertura della caccia porta con sé un intreccio di sentimenti: l’attesa, l’eccitazione e, per i cacciatori più esperti, una profonda nostalgia.
Per chi, come tanti, ha vissuto ogni apertura per decenni, il ritorno a quei giorni passati sembra quasi un sogno.
Sessantacinque albe trascorse nella paziente attesa del sole che si alza, nel silenzio che precede il primo colpo. Ogni anno porta con sé ricordi di momenti unici, il suono della natura che si risveglia, le luci che cambiano, e la sensazione del fucile tra le mani, che è più di un semplice strumento: è un simbolo di tradizione.
C’è chi non capisce, chi storce il naso di fronte a questa passione. È naturale, le opinioni si dividono però c’è anche chi, con rispetto, rivendica il diritto di vivere un’antica tradizione. La caccia, per molti, non è mai stata un semplice atto di prelievo. È una connessione con la natura, un modo per ricordare da dove veniamo, per riscoprire la pazienza e il rispetto per gli animali, per il ciclo delle stagioni e per un ambiente che, più di ogni altra cosa, deve essere preservato.
Nostalgia e tradizione si intrecciano in una celebrazione che, al di là del fucile, è soprattutto un tributo alla vita all’aria aperta. Ricorda i padri e i nonni che, prima ancora di noi, si alzavano alle prime luci dell’alba, trasmettendoci quella stessa attesa, quella stessa emozione. C’è qualcosa di profondamente umano nel partecipare a un rito che ha attraversato le generazioni.
E, mentre oggi viviamo in un mondo sempre più distante da quelle albe e da quei campi, per molti il 15 settembre resta una data che segna il ritorno a quella connessione antica. Un giorno che non è solo un’apertura: è il ritorno a casa, a un passato che, per qualche ora, sembra ancora lì ad aspettarci.
Paolo Forcellini