San Marino. Il 2023 sarà l’anno dell’adesione all’Europa. Quanto siamo vicini, o lontani? … di Alberto Forcellini

La scadenza ufficiale è la seconda metà di quest’anno, ma finora si è saputo ben poco del processo di adesione di San Marino alla UE. A parte le serate organizzate in maniera molto approfondita dall’Associazione Emma Rossi, le comunicazioni ufficiali sull’andamento del negoziato sono state assai scarse e affidate solo a qualche comunicato stampa; gli appuntamenti pubblici del tutto assenti.

Un aspetto che il Segretario Beccari ha giustificato, proprio nel corso dell’ultima serata su questo tema, affermando che l’informazione è un diritto sacrosanto, ma secondaria ai round negoziali. Poiché finora non ci sono stati elementi sufficienti, si è preferito non coinvolgere la popolazione. Il che, invece, avverrà nei prossimi mesi, proprio quando i nodi attualmente in lavorazione saranno scioli. Così ha detto.

In effetti, l’aver trasportato la trattativa sul livello politico, con il diretto coinvolgimento del parlamento europeo, ha velocizzato moltissimo un negoziato partito nel 2015, ma con scarsi avanzamenti fino a dopo il Covid. In questo modo è passata la proposta di invertire l’ordine degli allegati e incentrare l’attenzione sulle questioni più rilevanti, soprattutto per un piccolo Paese, e cioè: mobilità, lavoro, servizi finanziari. In estrema sintesi, questi sono i temi bloccanti, ovvero: i flussi dei residenti (in merito ai quali probabilmente si dovrà superare il sistema concessorio e arrivare a stabilire una quota annuale); l’equilibrio del mercato del lavoro, che già vede la presenza di circa 7mila frontalieri; la libera prestazione dei servizi, tra cui in primo piano quelli finanziari.

Settori per i quali sono state indicate alcune linee di indirizzo, ma tutto è ancora in fase di trattativa. Di qui a giugno sono previste ben 7 sessioni negoziali, dove saranno presenti anche altri piccoli Stati, che hanno problemi simili a quelli sammarinesi. Gli ultimi report rivelano la massima disponibilità della commissione, ma è evidente che le regole dovranno essere uguali per tutti: stessi diritti, stessi doveri, nessuna discriminazione. Anche se San Marino e colleghi entreranno senza quei balzelli a cui sono sottoposti tutti gli Stati membri.

Dal punto di vista politico, ciò significa che occorrerà abbandonare qualsiasi atteggiamento conservatore e aprire la mente alle opportunità che l’adesione all’Europa porterà anche alla piccola repubblica sammarinese. Per esempio, gli studenti ne trarranno grandi benefici e sicuramente supereranno le mille difficoltà che ancora si trovano ad affrontare quando decidono di fare esperienze di studio all’estero. Un’altra categoria che ne trarrà sicuri benefici, è quella degli imprenditori. Infatti le aziende sammarinesi si trovano ad operare geograficamente in Europa, ma non avendo alcun riconoscimento, ne pagano tutti gli oneri: costi, impegni amministrativi, responsabilità.

Il problema più gravoso è che pur essendo l’industria una delle colonne portanti dell’economia, non riesce ad essere competitiva né sul mercato, né sui tavoli relazionali. Per questo chiede due cose fondamentali da questo negoziato: certezza del diritto e condizioni di competitività rispetto all’Europa. In pratica, il settore produttivo chiede una visione culturale e politica più alta e più ampia rispetto al passato, quando si è puntato soprattutto al protezionismo. È convinzione diffusa che i sammarinesi non abbiano bisogno di protezione perché hanno competenze e professionalità eccellenti. Insomma, un riconoscimento per il merito, non per il passaporto. Il che, se rapportato al passato, è davvero un enorme salto concettuale in avanti, che cancella con un colpo solo il dilemma tra costi e benefici, a cui ancora qualcuno si aggrappa.

Il lavoro che si ha di fronte è soprattutto tecnico perché non riguarda solo l’allineamento legislativo all’acquis comunitario, ma anche le considerazioni sulla massa critica sammarinese (rispetto appunto ai flussi, ai servizi, al lavoro), che è molto diversa in confronto agli altri Stati, con l’aggiunta dell’ambizione (se vogliamo l’obiettivo) di conservare quanto più possibile un’identità millenaria. Insomma, trovare l’equilibrio più giusto possibile tra strumenti antichi e concetti nuovi, quale può essere appunto la sovranità condivisa, a cui sono arrivati altri 30 paesi del continente.

a/f