San Marino. Il 3 settembre ed il Santo Marino, tra storia e leggenda

dowOggi di 1715 anni fa Marino, uno scalpellino di Arbe poi diventato santo, moriva sul monte Titano dopo una vita fatta di persecuzioni subite, ascetismo, miracoli e dopo aver fondato una comunità da allora rimasta autonoma e poi diventata una Repubblica a tutti gli effetti.

Per questo da secoli il 3 settembre è diventata la festa per eccellenza del nostro Stato.

Come ricostruito dallo storico Verter Casali sul proprio sito http://verter.altervista.org/, l’origine della nostra comunità storicamente è affidata ad un racconto scritto in latino da autore anonimo nel X secolo, ovvero molti secoli dopo i fatti.

La leggenda
Si narra che nell’anno 257 d.C., essendo imperatori romani Diocleziano e Massimiano, si volevano ricostruire le mura di Rimini distrutte da un assedio attuato dalle truppe di Demostene, re dei Liburni. L’iniziativa stimolò l’arrivo a Rimini di molta manovalanza in cerca di lavoro, tra cui svariati tagliapietre provenienti dalla Dalmazia, come Marino e Leo, due scalpellini di fede cristiana dell’isola di Arbe, oggi in Croazia. A Rimini Marino iniziò ad operare facendosi conoscere per le sue grandi doti di lavoratore, ma anche umane e cristiane.

Dopo qualche tempo Marino e Leo ed altri loro compagni salirono sul vicino monte Titano per estrarvi pietra. Qui rimasero a lavorare per tre anni. In seguito Leo decise di ritirarsi sul monte Feretro, posto a pochi chilometri dal Titano, dove si costruì una celletta e un piccolo oratorio che dedicò al Dio dei Cristiani. Marino invece tornò a Rimini, dove si trattenne per altri dodici anni e tre mesi, lavorando, predicando il Vangelo e lottando contro l’idolatria. Poi però dovette scappare e rifugiarsi nuovamente sul Titano, perché dalla Dalmazia sopraggiunse una donna malvagia e indemoniata, che pretendeva essere la legittima moglie abbandonata dal tagliapietre di Arbe. Ai piedi del Titano (la tradizione vuole nei pressi della Baldasserona, ma la leggenda non indica il luogo preciso) Marino visse all’addiaccio per un anno finché non venne scoperto casualmente da alcuni pastori di porci, che subito si affrettarono a diffondere la notizia. Sul posto arrivò subito la sua presunta moglie a tormentarlo di nuovo. Per sei giorni e sei notti il santo si barricò nel suo rifugio, digiunando e pregando affinché quell’assillante presenza se ne andasse. Alla fine la donna, rendendosi conto che non era possibile lusingare e corrompere un uomo così pio, decise di partirsene per sempre.

Marino abbandonò comunque il suo rifugio spostandosi sulla sommità del monte Titano dove costruì prima una piccola cella, in seguito una chiesetta dedicata a San Pietro. Tale sistemazione non piacque però a Verissimo, figlio di una nobile vedova di nome Felicissima che era la legittima proprietaria del luogo. Costui, deciso a cacciare via l’eremita con le cattive, cadde improvvisamente paralizzato nelle braccia e nelle gambe. Sua madre, conoscendo la fama di santità che già avvolgeva Marino, intuì che la disgrazia fosse legata all’offesa recatagli dal figlio, quindi implorò il santo di essere magnanimo col giovane restituendogli l’integrità fisica: in cambio le avrebbe potuto chiedere ciò che voleva. Marino le rispose che non desiderava altro che la loro conversione al Cristianesimo ed il loro battesimo, oltre ad un lembo del monte per potervi essere seppellito. Felicissima, impressionata dalla santità dell’eremita, gli disse che egli ed i suoi successori avrebbero potuto tenersi per l’eternità non solo un lembo di terra, ma tutto il monte e le terre limitrofe. A queste parole Verissimo riacquistò immediatamente le sue facoltà. La vedova si gettò ai piedi dell’eremita e in seguito si convertì al Cristianesimo con tutti i suoi familiari. Marino divenne così il legale proprietario delle terre che poi da lui prenderanno nome.

Nei tempi successivi Marino e Leo divennero tanto famosi nella zona da ricevere per mano del vescovo Gaudenzio di Rimini il primo il diaconato, e il secondo l’investitura sacerdotale. Marino poi si distinse ancora per alcuni miracoli compiuti, come quello famoso dell’orso feroce che gli aveva divorato il suo unico aiutante, un asino, e che venne da lui ammansito e reso animale da soma, ma non ebbe più grossi problemi dalla vita. Trascorse i suoi ultimi giorni sul Titano insieme alla piccola comunità di persone che gli si formò attorno, e qui morì il giorno 3 settembre di un anno sconosciuto (che la tradizione vuole essere il 301) venendo sepolto all’interno della chiesa da lui stesso edificata. In punto di morte avrebbe pronunciato la famosa frase relinquo vos liberos ab utroque homine (vi lascio liberi dagli altri uomini), frase non presente in realtà nella leggenda originale, ma che risulterà fondamentale per la cultura politica dei sammarinesi, che su queste sacre parole fonderanno sempre il culto della loro indipendenza e dell’autonomia del loro Stato dai poteri forti, a partire da papa e imperatore, che li avvolgeranno anche nei secoli seguenti.

L’agiografia
Per molti secoli questo racconto è stato considerato completamente attendibile dalla comunità sammarinese. Solo in epoca recente sono stati pubblicati studi che mettono in dubbio la veridicità storica della leggenda. Come spiega Casali infatti essa “è piena di fatti inesatti o di cui non si posseggono altre testimonianze. Per esempio, Diocleziano e Massimiano non erano imperatori nel 257; nessun altro documento pervenutoci ci attesta la distruzione di Rimini in questo periodo; non si hanno altre tracce documentali di un Demostene re dei Liburni e così via. Inoltre la leggenda presenta aspetti, miracoli, stereotipi e cliché tipici di tante altre leggende agiografiche, cioè basate sulla vita dei santi, elaborate da specialisti di tale genere letterario (agiografi) nel corso del Medioevo, come la donna indemoniata, o l’animale feroce ammansito da Marino, o il ripetersi di numeri sacri per la cultura cattolica come il tre o i suoi multipli”.

Si trattava quindi non di scritti storici ma di racconti piacevoli, ricchi di simboli e allegorie facili da comprendere per coloro a cui venivano lette in occasione di riti o cerimonie religiose, gente devota ma assolutamente illetterata. Da qui l’esigenza di ricorrere frequentemente a metafore e stereotipi ben consolidati e chiari per le coscienze di tutti. Diocleziano, per esempio, simboleggiava il feroce e sanguinario persecutore dei Cristiani, per cui molte leggende legate ai santi vennero collocate arbitrariamente ai suoi tempi. La donna era tipico simbolo di tentazione demoniaca.

In realtà, rileva Casali, non si sa con esattezza storica neppure se un anacoreta di nome Marino sia vissuto realmente, né quando, né dove. Alcuni studiosi hanno sostenuto, tuttavia, che se veramente un uomo dalle caratteristiche simili a quelle raccontate nella leggenda sia esistito ed abbia dimorato sul Titano, la sua vita può essere più facilmente collocata tra il VI e VIII secolo d.C. che non prima”.

I documenti storici
Infatti c’è un documento del 511, una lettera scritta da un monaco di nome Eugippo al diacono Pascasio, in cui l’autore afferma di aver letto una “Vita” di un monaco di nome Bassus vissuto per qualche tempo in un monastero posto sopra un monte chiamato Titano vicino a Rimini. “Da questa scarna fonte – ricostruisce lo storico Casali – possiamo quindi ricavare che agli inizi del VI secolo esisteva sul Titano un monastero, forse con una minuscola comunità che gli si raccoglieva attorno come capitava anche altrove in quel remoto periodo; probabilmente, però, non si era ancora sviluppato un culto per un santo di nome Marino, perché nella lettera in questione stranamente non si faceva alcuna menzione a tale personaggio, o alla comunità che da lui ha preso nome”.

“Nel 754 invece – scrive ancora Casali – il culto risulta già consolidato, poiché in un documento dell’epoca, riportato nel Liber Pontificalis, all’interno della vita di papa Stefano II, in cui si elencano le località donate da Pipino il Breve al papato, si menziona anche il “Castellum Sancti Marini”, citazione che lascia facilmente e lecitamente ipotizzare che a quella data sul monte Titano già si ergesse un castello dedicato al nome del santo, sempre che il luogo citato fosse a tutti gli effetti il nostro paese”.

Secondo Casali inoltre, in mancanza di documenti più dettagliati, “si può anche pensare che a questa data sul Titano dimorasse una comunità abbastanza ampia anche di laici, visto che accanto al monastero si era sentito il bisogno di innalzare un edificio fortificato”.

Comunque sia della comunità sammarinese non sappiamo più nulla fino all’885, data in cui sarebbe stato stilato il famoso “Placito Feretrano”.

La Tribuna.sm

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