Le elezioni incalzano, tra accuse, veleni, insalate, ammucchiate e così via. E se il buongiorno si vede dal mattino, prepariamoci a un mezzogiorno di fuoco capace di riscaldare un novembre che i meteorologi prevedono freddissimo, tranne che a San Marino evidentemente. C’è poco da ridere però, anzi la situazione è drammatica. Perché chi evoca la bancarotta del Paese crea un danno persino più grande rispetto a quello che imputa alla cosiddetta “cricca”. Il panico generalizzato non è mai buon consigliere, né il Titano appare sull’orlo del crac, per quanto i problemi innegabilmente vi siano. Ci piacerebbe a questo proposito vedere un sussulto d’orgoglio da parte dei congressisti rimasti, che invogliasse gli elettori a rivotarli. Mettendo magari in cascina “legna” utile per risollevare le sorti e gli umori dei sammarinesi, ormai stufi delle parole e desiderosi di fatti, in primo luogo posti di lavoro e maggiore benessere. Sono stati anni bui e drammatici, dove trovare un unico capro espiatorio è un esercizio che solo gli stolti e coloro che sono in malafede possono praticare. Abbiamo assistito ad una concatenazione di eventi tali da rendere difficile per chiunque mantenere la barra dritta. Eppure non vediamo ancora il “mago” capace attraverso la sua “bacchetta magica” di risolvere ogni problema. Né scorgiamo fenomeni illuminati della politica o figure carismatiche – alla Kennedy per fare un esempio – che possano smuovere le masse e cambiare le sorti politiche ed economiche della più antica Repubblica del mondo. A proposito di Kennedy, le elezioni americane possono fornire un fulgido esempio dello stato d’animo che permea tanti sammarinesi, con i quali in queste ultime settimane abbiamo avuto modo di parlare e confrontarci. Da un lato abbiamo Hillary Clinton. Della serie, il “nepotismo” non conosce confini. O forse li conosce ma non negli Stati Uniti, terra di libertà, pure troppa. Un Paese dove il potere passa di mani in figlio – leggi Bush – come neppure nelle monarchie medievali. Ora c’è l’evoluzione con i Clinton appunto e il passaggio “orizzontale” da marito a moglie. Il fatto che sia donna è certamente positivo. Che sia vicinissima a quella Wall street colpevole di aver messo sul lastrico numerosi europei, decisamente meno. Poi c’è lui. Donald Trump. In questo caso c’è davvero poco da aggiungere: alcune sue uscite fanno dubitare della sanità mentale del personaggio, oltre alla pericolosità delle continue istigazioni all’odio. Comunque vada insomma, alle elezioni di novembre sarà un (in)successo. Difficile scegliere in questa strana coppia, perlomeno per noi che non abitiamo in America. Non è forse un caso allora che anche sul Monte si voti a novembre. E pure qui, come si dice, la coperta è corta e non è agevole districarsi nel “menù” che ad oggi si offre agli elettori. Viene quasi voglia di dare il voto a Kevin Spacey. Lui che in “House of cards”, celebre serie tv sugli intrighi del Campidoglio, impersona Frank Underwood, diabolico presidente degli Stati Uniti, capace delle peggiori nefandezze. Underwood è decisamente quanto di più lontano possa esserci da chi possegga almeno un briciolo di valori. Ma Spacey è magico nell’interpretazione, acuto nei dialoghi, geniale nelle espressioni. Sul Titano c’è chi ama realmente la Repubblica, chi invece lo fa solo a parole e finge, e chi è “attore” interessato. Insomma, tra i vari “Underwood”, “Clinton” e “Trump”, il nostro “Spacey” non lo abbiamo ancora scovato. Quando arriverà sapremo certamente a chi dare la nostra preferenza. Tenendo sempre a mente il monito, guarda un po’, di un bravo Presidente e attore come Ronald Reagan: “La politica è stata definita la seconda più antica professione del mondo. Certe volte trovo che assomigli molto alla prima”. Se lo dice lui…
David Oddone
La Tribuna.sm