San Marino. Il convento è povero ma i frati sono grassi. È ora che i frati riportino qualcosa nella dispensa … di Alberto Forcellini

C’era una volta il paese del Bengodi. Qui non “si legavano le vigne con le salsicce” come racconta Boccaccio nella III Novella del Decamerone, ma scorrevano fiumi di denaro e molti ne potevano godere. Se entravi in banca e avevi un santo protettore nel governo, o eri amico di un notabile di partito, potevi chiedere qualunque cifra. Un milione? Ne vuoi due? Ne vuoi dieci? Non c’era bisogno neanche di garanzie. Bastava il nome.

Erano gli anni della follia, dell’ubriachezza, dove si poteva ciò che si voleva. Finché è arrivata la crisi: quella economica, di derivazione mondiale, ma anche quella politica, che ha perso progressivamente il senso dello Stato. In sostanza, chi gestiva i soldi pubblici in nome e per conto dei cittadini non li ha amministrati come “un buon padre di famiglia” perché ha anteposto il proprio orticello al comune convento. D’altra parte nessuno controllava, perché ciascuno era occupato principalmente ad accumulare e gestire la propria ricchezza privata, e poco o nulla si interessava di come veniva gestiva quella pubblica. Cosa di tutti, cosa di nessuno.  Ecco perché, parafrasando un notissimo aforisma di Rino Formica, che ancora oggi calza a pennello, si è verificata la situazione per cui: “Il convento è povero, ma i frati sono grassi”

Ora siamo al punto di non ritorno: o si cambia registro, o salta tutto. L’emergenza sanitaria ha messo a nudo le criticità del sistema, che il nuovo governo aveva comunque già evidenziato nel suo programma indicando il percorso da intraprendere. L’emergenza non è finita, ma l’urgenza di dare una svolta al progetto di rilancio dell’economia, impone un’accelerata agli interventi per il settore bancario. In poche parole, non è più sostenibile che i debiti delle banche vengano sanati dal Bilancio dello Stato, anche se si tratta di banche di Stato, come è la Cassa di Risparmio.

Non è un caso che tra i primi interventi della nuova governance c’è stato quello di predisporre un progetto industriale che desse nuova operatività e nuova immagine alla Cassa. A questo ha aggiunto la conversione del famoso 5 ter in titoli irredimibili, che ha consentito non solo di riequilibrare il bilancio della banca, ma anche di far risparmiare 30 milioni all’anno al bilancio dello Stato. Ed è giunto il momento in cui anche la politica deve fare la sua parte.

Nascono di qui gli interventi normativi per la cartolarizzazione dei crediti e per dare alle banche strumenti più forti per il recupero dei crediti. Il processo di cartolarizzazione consiste in una specie di alchimia finanziaria che tramuta un’attività finanziaria indivisa (per esempio, un credito) in un’attività divisa e vendibile, cioè a dire in titoli (“carta”). Sull’altro fronte, il recupero dei crediti fatto internamente è sicuramente un’azione migliore rispetto all’esperienza della vendita degli NPL a società veicolo estere, come ad esempio il pacchetto Delta, che ha portato solo un pugno di mosche.

Il messaggio è chiaro: i fratacchioni che hanno lucrato in tempi passati devono riportare nella dispensa quello che hanno preso. In questo senso va anche l’intenzione di rendere pubblica e trasparente l’anagrafica dei debitori.

È ovvio che in tutto ciò, occorre un cambio di mentalità, più vicina a quella dei paesi più moderni, facendo attenzione ai soldi pubblici e ai soldi privati. In parte questo sta accadendo, ma ci vorrà ancora del tempo prima che le nuove generazioni politiche e imprenditoriali abbiano assimilato completamente questi concetti.

Nel frattempo speriamo che il convento non crolli per mancanza di manutenzione, perché se ciò dovesse accadere i monaci ricchi e quelli poveri verrebbero seppelliti tutti, compresi quelli con i materassi gonfi.

a/f