San Marino. Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi … di Don Gabriele Mangiarotti

Don Gabriele Mangiarotti

È sempre interessante ascoltare le ragioni di tutti, e comprendere il senso di quanto si dice.

Ho appena ascoltato quanto affermato in tema di aborto (sempre e solo nominato come «interruzione volontaria della gravidanza») nel contesto della campagna elettorale, definita «al silenziatore». Capita spesso però che le voci libere sono sistematicamente silenziate, da coloro che dovendo svolgere un servizio pubblico si ritengono però i censori e i garanti che chi non deve parlare non parli, come se la vita reale avesse bisogno del permesso o della etichetta per giungere allo scoperto. Intanto leggiamo che il Segretario di Rete nella intervista al Corriere di Romagna sembra pensare che gli unici veri reati siano «quelli contro lo Stato», e questo in compagnia con quella mentalità statalista che sembra definire che cosa sia reale e che cosa sia degno di essere fatto conoscere. E parlo per esperienza.

 

Ma torniamo all’assunto principale: Daniela Giannoni “nella nostra [di Rete] serata pubblica dedicata a fine vita e dignità” (cit.) inizia con queste parole: «Abbiamo avuto casi di successo come quello delle unioni civili, abbiamo avuto dei casi di difficoltà come quello dell’interruzione volontaria della gravidanza perché laddove si tocca l’aspetto della vita e della morte è diverso rispetto alle unioni civili tant’è che per l’interruzione volontaria della gravidanza nonostante le pressioni della popolazione, nonostante le proposte in Consiglio e dalla cittadinanza si è dovuto fare un Referendum.»

 

«…laddove si tocca l’aspetto della vita e della morte»: finalmente la parola chiara, la morte. E non più la solfa dei diritti. È la questione della vita e della morte, e la morte del bimbo concepito, del più debole tra i deboli, di colui che la madre dovrebbe proteggere e a cui lo Stato deve dare la massima tutela.

Grazie Daniela, perché ci hai ricordato che siamo di fronte «alla vita e alla morte» e dobbiamo decidere da quale parte stare.

E, se questo è chiaro, allora anche la proposta di introdurre la legge sulla eutanasia sarà una battaglia tra la vita e la morte, e così smetteremo di parlare di diritti là dove è qualcosa d’altro in questione.

 

Forse sarà il caso di ricordare le parole dell’antico giuramento di Ippocrate, che non perde la sua attualità nonostante sia stato scritto cinque secoli prima di Cristo e nonostante le manipolazioni contemporanee: «Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per gli dèi tutti e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto: di stimare il mio maestro di questa arte come mio padre e di vivere insieme a lui e di soccorrerlo se ha bisogno e che considererò i suoi figli come fratelli e insegnerò quest’arte, se essi desiderano apprenderla; di rendere partecipi dei precetti e degli insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio maestro e gli allievi legati da un contratto e vincolati dal giuramento del medico, ma nessun altro.

Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, mi asterrò dal recar danno e offesa.

Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo.

Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte…

In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l’altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi.

Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell’esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili.

E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e dell’arte, onorato degli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro».

 

Noi siamo sempre i difensori della vita e riteniamo che ogni cedimento sia una sconfitta per l’umanità. Come riteniamo che quello che già si è legiferato con l’approvazione della legge sull’aborto non sia «una buona legge». Qualche volta il coraggio viene non dalle maggioranze, ce lo insegna la storia, anche la nostra storia, ma da coloro che sanno andare controcorrente e giocarsi fino in fondo per salvare ogni vita umana. E se volessimo ricordare i nostri padri e i testimoni, troveremmo quella fierezza che ci darà il coraggio di continuare a lottare per la vita e combattere contro la morte. E crediamo di non essere soli, e non abbiamo timore di coloro che ci vogliono mettere a tacere o che stravolgono malevolmente le nostre parole e intenzioni.

 

don Gabriele Mangiarotti