Perchè sul banco degli imputati c’erano soltanto l’ex giudice inquirente Alberto Buriani e l’ex Segretario di Stato Simone Celli, oltre ad un paio di giornalisti? E’ questa la domanda che -chi come me- ha assistito ieri all’interminabile udienza che, nell’ambito del dibattimento processuale ha visto sfilare sul banco dei testimoni il Presidente di Banca Centrale, Catia Tomasetti, e l’Onorevole italiano Sandro Gozi, si ritrova naturalmente a farsi…
Poi, ricordando che il processo non verte su controverse condotte politiche, ma su diverse e precise ipotesi di reato ascritte agli imputati, la risposta arriva altrettanto ovvia: deve essere così.
Ma l’udienza di ieri è andata ben oltre la ricerca della verità sulle presunte violazioni di legge contestate a Buriani e Celli, arrivando a scrivere -per ora a matita cancellabile- un importante capitolo della storia sammarinese. Una storia che forse ha ben poco di rilevante dal punto di vista prettamente giudiziario, ma che sembra svelare una deriva politica e una conseguentemente profonda crisi qualitativa della millenaria democrazia. Il tutto con sfumature proprie del più avvincente giallo firmato dal celebre Alfred Hitchcock.
Dai fiumi di parole spese da Gozi e dalla Tomasetti emerge un quadro estremamente eloquente, capace di divenire, tutto ad un tratto, decisamente inquietante: “Ho l’impressione che Simone Celli fosse costretto a fare questa cosa”. Chi lo costringeva, dando per scontato che le impressioni citate trovino fondamento nel concreto, a porre in essere certe azioni e certe -chiamiamole- “pressioni” all’indirizzo del vertice indipendente di un ente autonomo e chiave nel supporto al sistema finanziario e bancario sammarinese? Non lo ha detto esplicitamente la Tomasetti. E non lo ha detto Gozi… Ma ambedue, specie la seconda, hanno seminato una lunga serie di puntini fissati con inchiostro indelebile nero su carta bianca. Puntini che, una volta uniti fra loro, vanno a comporre un univoco disegno.
Avrete capito che, in questa sede, non me ne frega nulla dell’aspetto giudiziario di quell’interminabile giornata di ieri. Sarà il quanto mai “paziente” giudice Adriano Saldarelli a scrivere una prima verità -giuridica- sulle accuse. Su quel fronte, qui, mi preme ricordare un solo aspetto, ovvero che ogni indagato, ogni imputato è un presunto innocente fino a sentenza definitiva e contraria. Un concetto che in troppi, specie sul Titano -e su questo non voglio essere garantista circa le palesi responsabilità di almeno parte del Tribunale e di certi media dell’epoca- sembrano aver dimenticato e ritenere, più che un principio di civiltà, un intoppo alla “giustizia”, al pari della “scellerata” azione degli avvocati difensori, perchè spesso capace di portare la sentenza verso la “incomprensibile” assoluzione. Ma questa è un’altra storia.
Due parole che, però, sull’aspetto giudiziario le voglio spendere. Lo ritengo doveroso, se non altro per quell’innato senso di garantismo che mi guida. La prima è sul Giudice Buriani, che ho visto ingenerosamente troppo solo, sul banco degli imputati, a subire dignitosamente -al di là di quelle prettamente giudiziarie- la pressione di responsabilità più ampie e che non possono essere solo sue; la seconda su Simone Celli, forse addirittura più “vittima” che “carnefice” nella verità giuridica che potrebbe emergere alla fine del dibattimento. Certo, è una impressione, non può essere altro essendo tratta da una singola udienza, che emerge grazie, probabilmente, anche e soprattutto, all’incisiva azione del suo legale difensore, Enrico Carattoni, e, al tempo stesso, dal sentore di “affetto” nei suoi confronti che la Tomasetti -dal banco dei testimoni, anche quando la forza delle sue accuse, quando le sue parole sembravano tagliare come affilatissime lame ogni “cameratismo” pregresso- non riusciva a mascherare. “Ho l’impressione che Simone Celli fosse stato costretto a fare questa cosa”. Era forse ricattato?, vien da chiedersi, seppure nulla di concreto, se non “l’impressione” della Presidente di Bcsm, sembri oggi alimentare questo inquietante dubbio.
Al di là di considerazioni, ipotesi aleatorie, opinioni personali, dopo oltre otto ore di dibattimento, i “puntini” che mi ritrovo sul mio foglio bianco sono tantissimi. Inizio ad unirli… Spuntano, oltre ai “volti” degli “scomodi” vertici di Banca Centrale, degli “identikit” che somigliano tantissimo al “banchiere” Marino Grandoni; all’allora Ministro degli Esteri e della Giustizia Nicola Renzi; a qualche personaggio di punta di Repubblica Futura; al giudice, all’epoca, inquirente Alberto Buriani; al Segretario di Stato alle Finanze Simone Celli, alle pagine de L’Informazione.
Sono loro i protagonisti di questa storia, anzi, non essendoci oggi riscontri oggettivi diversi dalle situazioni ricordate e descritte dai due, forse è meglio dire della “favola illustrata”.
Così, c’era una volta un banchiere di nome Marino, che aveva una banca tutta scassata… Una banca che, però, per lui era tutto. L’aveva creata dal nulla, “svezzata” e fatta diventare grande. Ma poi, forse a causa di cattive “guide”, aveva perso la retta via.
“Devo salvare la mia banca”, si crucciava il nostro Marino. “Devo salvarla a tutti i costi!”. Marino aveva un gruppo di amici nei posti che contano, ma altrettanti nemici in altri posti che contavano forse di più. “Devo convincere gli amici ad aiutarmi a far capire ai nemici che è importante salvare la mia banca… E, se non riusciremo a farglielo capire, non potremo far altro che spazzarli via sostituendoli con nostri amici”.
Okay, come detto è una favola, per grandi ma sempre una favola. Ma io non sono Collodi, quindi torniamo al disegno ipotetico che emerge da quanto ascoltato ieri in Aula ai Tavolucci. Lasciamo, così, la prosa fiabesca. Tutto inizia fra fine 2018 e inizio 2019 e verte sull’intenzione di acquisto di Banca Cis dimostrata dal gruppo lussemburghese Stratos. Ogni tassello sembra al suo posto ma, quando da Bcsm si chiede una prova di solidità finanziaria al gruppo, iniziano i problemi e l’affare vacilla.
Iniziano, le più o meno palesi pressioni verso la Presidente di Bcsm, tanto che Grandoni incontra amichevolmente a Roma, alla presenza di Sergio Pizzolante, l’Onorevole Gozi. Al centro del pranzo il vaglio della possibilità che il parlamentare europeo possa intercedere con la Tomasetti. Intanto, sul Titano, Celli -sempre meno velatamente- cerca di “sensibilizzare” la stessa alla causa…
Ogni tentativo risulta però vano… Scatta, a quel punto, il “piano B”: destituire sia la Tomasetti che il vertice della vigilanza di Banca Centrale, Giuseppe Ucci. Qui entra in gioco il giudice inquirente Buriani e, quindi, certa stampa; e si fa più decisa l’azione di “demolizione” della Tomasetti, nei relativi organismi istituzionali, perpetrata dal Segretario di Stato Renzi e di parte di Repubblica Futura.
I vertici di Banca Centrale appaiono accerchiati da un esercito. Da una parte Buriani che, incredibilmente basandosi su una sorta di esposto “anonimo”, apre una indagine ipotizzando l’amministrazione infedele per la Tomasetti, basando l’ipotesi di reato -poi rivelatasi infondata vista l’archiviazione del procedimento- su una consulenza che Bcsm affida all’Onorevole Gozi. Perdipiù, anche qualora fosse stata fondata -da quanto si è capito ieri in Aula- la responsabilità non sarebbe stata riconducibile in nessun caso al Presidente.
Poco importa… L’attacco è sferrato. Per di più su due fronti. E’ il 15 aprile del 2019, San Marino RTV titola: “Consulenza fantasma: indagati Catia Tomasetti e Sandro Gozi”. Di lì a poco rimbalza la notizia di una indagine italiana, incentrata sul crack di un istituto bancario, dove fra i millemila indagati (è prassi della magistratura d’oltre confine, in simili situazioni, iscrivere nel registro degli indagati tutti i membri che si sono succeduti al cda dell’istituto fallito, anche senza elementi a loro carico) qualcuno trova il nome di Ucci.
L’ora X è scattata. L’azione sinergica di magistratura, media e politica sembra riservare un unico epilogo: la “ritirata” dei due pezzi da novanta “scomodi” di Bcsm. Ma così non è, né la Tomasetti né Ucci levano bandiera bianca. Le pressioni, gli inviti e neppure troppo velati messaggi che Celli lancia alla Presidente (rapportati con questo, incontra quell’altro…) anche cavalcando il disagio determinato dall’indagine aperta si fanno sempre meno velati… Come si fanno sempre più pesanti gli scontri fra la Tomasetti e l’allora Segretario alla Giustizia, Renzi, al pari degli attacchi a lei rivolti da esponenti di Repubblica Futura…
Il resto, l’epilogo è ormai noto… Vi è piaciuta la favola? Se trovasse conferma -con elementi oggettivi oggi non noti, perlomeno a me- nei fatti reali tutto ciò sarebbe solo responsabilità di Celli, Buriani e di un paio di giornalisti? Secondo me no…
Eppure, pur seminando puntini poi da unire, non la racconto io. La raccontano esplicitamente gli atti dell’udienza dibattimentale di ieri del Processo che vede alla sbarra Celli e Buriani. Dichiarazioni registrate che saranno presto trascritte e -se non erro- pubbliche. Documenti ufficiali che, da soli, impongono perlomeno -ad una politica seria, che sappia sempre dimostrare di tutelare la millenaria democrazia sammarinese- l’apertura, se non di una indagine giudiziaria vera e propria (non è il mio lavoro valutare ciò) di una apposita commissione d’inchiesta consigliare che possa individuare eventuali e gravissime responsabilità politiche di una stagione in cui parte del Congresso di Stato e parte del Consiglio Grande e Generale, nonché almeno parte del partito cardine di quel governo denominato AdessoSm e un importante organo di informazione sammarinese potrebbero forse aver perseguito fini ben meno nobili dell’interesse generale e minato le fondamenta della storica democrazia sammarinese.
Enrico Lazzari
