Anche in questo Consiglio c’è un comma che sembra una banalità, eppure ha una valenza molto grande. Il comma 21 recita infatti: Adozione, ai sensi di legge, del “Codice di condotta per i membri del Consiglio Grande e Generale” approvato dall’Ufficio di Presidenza del Consiglio Grande e Generale a mente dell’articolo 55, comma 2, della Legge Qualificata 3 agosto 2018 n.3 e sue successive modifiche.
Pare che ci siano state molte riunioni e anche molte litigate per arrivare ad un testo più o meno condiviso, voluto fortemente da qualche forza politica, avversato da altre, per le quali non ce n’era affatto bisogno. Questo ci porta a guardare nel suo insieme il quadro politico perché quello che viene offerto dai media e dai social, spesso non corrisponde a verità.
Come accadeva nei giorni scorsi, quando i giornali titolavano: Governo al capolinea. Rete bacchetta il governo. Invece, il comunicato di Rete che aveva dato origine a queste interpretazioni diceva ben altro e verso la fine ribadiva semplicemente una posizione mai cambiata dall’inizio della legislatura, e cioè che la differenza si gioca sul come fare le riforme, al netto del fatto che tutti le vogliono fare, ma solo a parole.
Titoloni che tuttavia non stupiscono perché ormai si susseguono da tempi immemori senza soluzione di continuità per imputare a Rete qualsiasi cosa accada nel Paese o nel Palazzo. Della serie: cade una foglia, è colpa di Rete. Il che è francamente incredibile, oltre che stucchevole, anche perché viene assegnato a Rete un potere che sicuramente non ha. I numeri sono inequivocabili: 2 membri in Congresso a fronte di altri 8, e 9 Consiglieri a fronte dei 21 DC. Poi, il fatto che Rete sia sempre attiva su tutti i fronti, che analizzi con puntigliosità i documenti e che dica la sua, fa parte del suo codice genetico.
Secondo un sondaggio Doxa del tutto personale, altri partiti hanno ben altri problemi. Prendiamo la sinistra, che aveva tutte le carte per ricomporsi e fare un “partitone” come non si era mai visto, risolvendo diatribe interne che si trascinano da decenni. Ma tutto il lavorio diplomatico a un certo punto va a scatafascio con le dimissioni di Iro Belluzzi, il progetto di una grande sinistra rimane un’utopia.
Rimane una miriade di partiti ormai ridottissimi nei numeri, come il PS, ancorato ad un manipolo di incrollabili fedelissimi; o il PSD, smembrato da mille frantumazioni. Anche Libera, che fa la voce grossa perché ha il gruppo consiliare più importante, fa una fatica enorme a tenere unite le tante anime che la compongono. Se ci è concesso un paragone, sembra un po’ come quelle papere che scivolano ieratiche sull’acqua, mentre sotto annaspano disperatamente per stare a galla.
RF, che pare incrollabile, che ha perfino recuperato qualche vecchio aderente, deve tuttavia fare i conti con molte separazioni interne, scontente di un partito che dopo 13 anni di governo, ha lasciato un’eredità molto ingombrante e che ancora non riesce ad uscire dai personalismi. La foto di Renzi con Lavrov, in piena guerra tra Russia e Ucraina, ha suscitato molte perplessità.
Quello che non piace alla gente (e questo vale per tutte le forze politiche) è la confusione, perché la confusione genera incertezza. Non piacciono i cambiamenti di nome, che creano un accavallarsi di sigle attraverso le quali è difficile orientarsi e che in gran parte non marcano la differenza tra il prima e il dopo. E in ogni caso, dietro la nuova mano di vernice, si riconosce sempre il sepolcro imbiancato.
Non piacciono neanche i cambiamenti di sede, perché comunque la sede di un partito è un punto di riferimento per gli aderenti, per i simpatizzanti, ma anche per gli avversari o per chi semplicemente ha bisogno di chiedere un’informazione.
Non piacciono i valzer di poltrona e si giudicano del tutto inaffidabili coloro che passano da una bandiera ad un’altra, perché il passaggio viene vissuto come una sorta di tradimento. E chi l’ha fatto una volta, è capace di rifarlo.
Per contro, quello che piace alla gente è stabilità, sapere che si può contare su qualcuno che lavora. Piace la coerenza e la chiarezza, quantunque a volte, di fronte alle difficoltà, possa apparire dura e sgradevole. Per il resto, ognuno ha le sue simpatie e le difende. Altrimenti si allontana dalla politica e non va più neanche a votare.
Poi rimangono i fatti, e quelli si vedono quantunque ci sia sempre qualcuno che cerchi di travisarli.
Sarà molto interessante ascoltare il dibattito sul Codice deontologico per i Consiglieri, preconizzato nella legge qualificata del 2018, quella sulle modifiche al Regolamento consiliare, dove all’articolo 55 si legge: “I Consiglieri che hanno interesse personale e diretto su un argomento posto ai voti hanno il dovere di astenersi dalla votazione e dalla discussione”. Il comma successivo invita alla promulgazione di un apposito codice, che potrebbe allargarsi anche ad altri comportamenti. E qui la cronaca di ieri cade sicuramente a fagiolo. Per quanto riguarda l’imparzialità e la terzietà, forse dovremo rimanere nella sfera delle pie illusioni.
a/f