San Marino. Il vero 8 marzo sarà quando non ci sarà più bisogno di festeggiarlo … di Alberto Forcellini

Cosa resta dell’8 marzo? A partire dai primi anni del 2000, sull’8 marzo era sceso un pietoso silenzio. Innanzitutto da parte delle donne, stanche di prenotare tavoli in pizzerie sovraffollate; stanche di ricevere mimose che appassiscono in poche ore; stanche di festeggiare in chiassose comitive monogenere una ricorrenza di cui nessuno ricordava più l’origine; stanche dell’ennesima data sul calendario, divenuta, dagli anni Ottanta in poi, occasione di consumo, al pari di San Valentino, Halloween, la festa della mamma e del papà.

Se guardiamo alla storia dell’ultimo mezzo secolo, è stato soltanto nel decennio del Settanta, che questo giorno ha avuto effettivamente modo di essere, come si diceva all’epoca, “non un anniversario, ma un giorno di lotta rivoluzionaria”. Di rivoluzione effettivamente si trattava dal momento che le vere rivoluzioni sono quelle che sconvolgono la vita reale delle persone e mutano le abitudini più radicate creando nuova cultura, nuovi valori, nuovo senso comune. Intorno a quegli anni mutò radicalmente l’universo intero delle relazioni tra uomini e donne, cambiavano le donne a partire dalla loro quotidianità e dalle loro esperienze e cambiavano insieme gli uomini, certo con grandi sforzi e resistenze. Pensiamo che solo fino al decennio precedente, il delitto “d’onore” riceveva pene ridotte; l’adulterio della donna era punito con la reclusione; il divorzio conosceva solamente la sua ipocrita versione “all’italiana”, come nel celebre film di Germi del 1961; la violenza sessuale era considerata un delitto contro la morale e non contro la persona;  i figli nati al difuori del matrimonio erano figli “illegittimi” e la donna che avesse voluto portare avanti una maternità da sola era sanzionata pesantemente dalla comunità;  le donne morivano dolorosamente a causa degli aborti clandestini.

A San Marino si combatteva per il voto passivo e per il mantenimento della cittadinanza in caso di matrimonio con un forense. L’aborto è ancora tabù, se ne parla con pregiudizi ideologici e religiosi e non in termini di libertà della persona.

Gli 8 marzo del 1972, ’73, ’74, fino alla fine del decennio, furono veramente l’occasione per ritrovare, nelle piazze e nei luoghi di pacifico raduno e discussione, migliaia di donne che prendevano la parola su ciò che riguardava direttamente la loro vita, il loro corpo, la loro sessualità, la loro indipendenza di pensiero. Progressivamente, tutta la società cambiò, qualcosa in bene, qualcosa in male.

Non bisogna mai assopirsi, mai dare nulla per scontato. Perché il tempo è “grande scultore”, come diceva Marguerite Yourcenar, ma nel tempo la memoria rischia di perdersi e ciò che alle donne è toccato negli ultimi vent’anni è stata una lenta ma pervicace erosione della dignità pubblica e dell’autonomia. Basti qualche esempio: come è stato possibile che la minigonna, da indumento che ha significato l’emancipazione e la libertà femminile, sia diventato un banale simbolo di seduzione da usarsi quando si vuole “fare colpo”? Come si è riusciti nel giro di qualche anno a rendere “vincenti” figure della femminilità e della bellezza sagomate sul genere: velina, accompagnatrice, amante di politico importante, fidanzata di calciatore, frequentatrice del Billionaire, moglie-modella del Presidente della Repubblica francese? Qualcuna ha alzato la voce contro questo nuovo presunto “destino” ed ecco che negli ultimi tempi è subito apparso, in una nuova direzione, un accorato ma subdolo appello a quanto in ogni donna, di qualunque età e origine, vive nell’animo ben radicato: il senso di colpa. Una carriera? Un aborto? Un abbandono? Una violenza? Sempre rea confessa la donna: è sua la colpa. Brutta storia, come dimostra proprio il caso dell’aborto, che sarà difficile, ancora oggi, a San Marino, depenalizzare.

Tocca dunque alle donne di nuovo far qualcosa per l’8 marzo e anche oltre questa data per non lasciare agli integralismi di ogni tipo questioni che riguardano valori come la responsabilità e la libertà. Il rischio è che la responsabilità venga intesa di nuovo come necessità di venire tutelate da qualcuno e che la libertà venga scambiata per superficiale individualismo.

Genere, cittadinanza, identità: vere e proprie idee-guida dell’universo mentale dell’Occidente europeo, intersecano in modo profondamente diverso lo statuto teorico e la concretezza del sesso femminile in sé, ma anche di uno rispetto all’altro, cioè la relazione fra i due sessi. Un solo augurio: abbandonare i falsi eufemismi lessicali come la sindaca o la ministra; il farisaico rispetto delle quote rosa; nonché le cosiddette “questioni di genere” per tornare a parlare di “questioni di donne”. E in ogni caso, la vera conquista sarà quando non sarà più necessario festeggiare l’8 marzo.

a/f