Dopo aver passato la notte in una bettola senza riscaldamento ed aver dormito molto poco, mi sveglio nervoso ed infreddolito.
Sono le 7:00 e mi incammino in direzione Santa Catalina de Samoza nella speranza di trovare un bar per fare colazione.
È freddissimo e tira un vento molto freddo, non faccio nemmeno un chilometro che devo fermarmi perché il freddo mi sta congelando le dita. Prendo dallo zaino un paio di calze e le metto a mo’ di guanto, in questo modo riesco a sopportare un po meglio il freddo. Finalmente dopo circa un’ora arrivo a Santa Catalina de Somoza e nel primo bar che trovo, entro per una colazione veloce e per scaldarmi un po. Attraverso il piccolo paesino e mi avvio verso El Ganso.
Il mio corpo sembra prendermi in giro, infatti mentre nei giorni passati avevo problemi alla gamba destra, oggi inizio a sentire lo stesso problema in quella sinistra, mi preoccupa un po la cosa, così decido di rallentare. Superato El Ganso, dove sono rimaste solo poche casas teitadas (cioè abitazioni coperte da tetto di paglia) mi incammino lungo un sentiero rialzato che costeggia la strada. Lungo questo tratto i pellegrini intrecciano dei rametti di legno a formare una croce, così anch’io raccogliendo due legnetti da terra e con un po di corda, faccio altrettanto. Arrivo finalmente a Rabanal del Camino.
La gamba mi desta qualche timore, così anche se ho fatto pochi chilometri decido di fermarmi ma proprio mentre penso questo, in lontananza un ragazzo mi saluta… è Andrea! Entrambi felici per esserci rincontrati mangiamo qualcosa assieme.
Lui è dolorante ad una gamba ma vorrebbe proseguire, così, euforici per esserci ritrovati decidiamo di proseguire ancora un po’. Andrea mi dice che un suo amico gli ha suggerito di fermarsi in un albergue a Manjarín.
Stringiamo i denti e ci incamminiamo, in fondo dista poco più di 9 km. Una lunga salita molto pesante per le gambe ci conduce a Foncebadón, poco dopo lungo un sentiero molto dissestato mette a dura prova le caviglie.
Giungiamo a Cruz de Ferro, il vento ha soffiato per tutto il giorno senza tregua e quassù a circa 1490m è ancora più freddo.
Sono ormai molto stanco e non vedo l’ora di arrivare a Manjarín. Ho già percorso 25 km e i piedi mi iniziano a fare molto male. Arriviamo finalmente a Manjarín dove incontriamo due persone italiane, un ragazzo ed una ragazza, entrambi lavorano lì come volontari.
Rivolgendosi ad Andrea gli dicono:”ah tu sei il famoso Andrea di Napoli?!”,”dei ragazzi mi hanno parlato di te!”. Così dopo aver scherzato un po con loro ci danno una brutta notizia.
In realtà non è un albergue ma un rifugio di montagna molto spartano dove nei fine settimana un signore sulla settantina, celebra il rituale dei templari. Purtroppo è mercoledì.
La scelta quindi é: rimanere lì e quindi per me un’altra sera senza riscaldamento e per di più con i servizi igienici dall’altra parte della strada o fare altri 7 km ed arrivare a El Acebo.
Siamo entrambi molto stanchi ma decidiamo di comune accordo di proseguire. Iniziamo quindi un’impressionante discesa con tornanti e tratti abbastanza ripidi, i piedi mi fanno malissimo e faccio fatica a coordinarli.
Quando arrivo ad El Acebo, sono stremato e privo di forze. Mi gira la testa, così mi fermo e mangio una caramella. È stata una tappa lunghissima e il percorso a volte molto dissestato e sassoso a messo a dura prova gambe e caviglie, ma anche oggi sono arrivato alla meta, ciò nonostante mi rendo conto che arrivato a questo punto ed avendo ormai quasi 600km nelle gambe, non posso più fare tappe così lunghe.
Appunto di viaggio: non ascoltare più lo scugnizzo napoletano.
Marco Bollini