Questa settimana la nostra Diocesi propone un incontro (rivolto principalmente a chi si impegna in politica) per riscoprire il significato, il valore e, pensiamo, l’attualità della Enciclica di Giovanni XXIII «Pacem in terris».
Per me è stata l’occasione per rileggere un documento sulla Dottrina sociale cristiana che ha avuto un impatto significativo sul mondo (cristiano e laico) perché ha rilanciato un tema, quello della pace, che non ha perso, purtroppo, la sua urgenza ed importanza. E non ci possiamo fermare al conflitto tra Russia e Ucraina, sapendo che le aree in cui si vive una situazione di guerra sono ancora troppo numerose (e spesso dimenticate dai mezzi di comunicazione).
In attesa dell’incontro pubblico, e ricordando le parole ascoltate recentemente sull’Europa in occasione del Corpus Domini, paragonandomi con quanto scritto nel comunicato stampa a proposito della «conferenza pubblica organizzata dal P.D.C.S. dal titolo “Dall’amicizia protettrice all’accordo di associazione – Il cammino nel riconoscimento della piena sovranità di San Marino”» penso che la prospettiva suggerita dal Santo Padre Giovanni XXIII sia estremamente attuale.
Già l’intestazione colpisce, perché il documento è rivolto, oltre ai soliti destinatari degli interventi papali, a «tutti gli uomini di buona volontà», indicando la volontà della Chiesa di un confronto «ragionevole» col mondo intero. E però, subito come incipit, il richiamo è al «rispetto dell’ordine stabilito da Dio», come condizione di una pace autentica.
Così si presentano alcune linee programmatiche su cui converrà confrontarsi, anche in vista di quanto prospettato dai previsti accordi di associazione con l’Europa, perché non si perda «un’occasione per affermare la nostra originalità, la nostra significatività per le nazioni, il nostro impegno per la vita».
Dice Giovanni XXIII: «In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili». E possiamo qui indicare come il primo diritto inviolabile sia quello alla vita, dal concepimento al suo termine naturale. Credo quindi che l’affermazione seguente, cara a tutta la tradizione cattolica, ma già adombrata nella figura di Antigone, sia assoluta e indiscutibile: «L’autorità… è postulata dall’ordine morale e deriva da Dio. Qualora pertanto le sue leggi o autorizzazioni siano in contrasto con quell’ordine, e quindi in contrasto con la volontà di Dio, esse non hanno forza di obbligare la coscienza, poiché “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”; in tal caso, anzi, l’autorità cessa di essere tale e degenera in sopruso. “La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione… Quando… una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza».
Non so se sia più «eversivo» questo giudizio (la legge ingiusta che non ha forza di legge ma che diventa un atto di violenza) o l’imposizione, come diritto sancito dalla legge, della soppressione di un essere umano (dotato di personalità per la sua stessa natura).
E non penso che sia sufficiente rassegnarsi al fatto che «dopo i laceranti dibattiti concomitanti alla legalizzazione dell’aborto, avvenuta … in quasi tutti i Paesi occidentali, non si dovrebbe considerare ormai risolto il problema ed evitare quindi di riaprire superate contrapposizioni ideologiche. Perché non rassegnarsi ad aver perso questa battaglia e non dedicare invece le nostre energie a iniziative che possano trovare il favore di un più grande consenso sociale?»
Certo, «sarebbe del resto assurdo anche solo il pensare che gli uomini, per il fatto che vengono preposti al governo della cosa pubblica, possano essere costretti a rinunciare alla propria umanità; quando invece sono scelti a quell’alto compito perché considerati membra più ricche di qualità umane e fra le migliori del corpo sociale»: si apre qui il compito entusiasmante per ogni uomo, e ancora più per chi si impegna nel campo politico, cioè nella promozione del bene comune, che «consiste nell’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona». Quanta ricchezza nasce dalla nostra storia civile, culturale, religiosa che, se compresa e messa al servizio della comunità internazionale, a partire dalla Europa, potrà realizzare quell’autentico progresso (Populorum progressio, cioè per tutti i popoli) di cui, proprio come uomini, ci sentiamo responsabili.
Anche nella prospettiva di una autentica educazione umanizzante, così necessaria di fronte alle tragedie che ci sconvolgono quotidianamente. Anche qui ci conforta leggere quello che Papa Giovanni XXIII afferma: «La famiglia, fondata sul matrimonio contratto liberamente, unitario e indissolubile, è e deve essere considerata il nucleo naturale ed essenziale della società. Verso di essa vanno usati i riguardi di natura economica, sociale, culturale e morale che ne consolidano la stabilità e facilitano l’adempimento della sua specifica missione.
I genitori posseggono un diritto di priorità nel mantenimento dei figli e nella loro educazione».
Forse da questa rilettura insieme della «Pacem in terris» trarremo suggerimenti validi per il nostro oggi, e saremo in Europa da autentici protagonisti. Indispensabili.
don Gabriele Mangiarotti