L’Istat getta l’allarme, inflazione record a maggio: +6,9%, ai massimi dal 1986. Gioco forza, il caro prezzi corre sul carrello della spesa e, come sempre, sui beni energetici che a cascata hanno influenza su tutte le altre categorie di beni. I beni alimentari sono cresciuti tra il 5 e il 6 per cento e il rialzo si vede progressivamente ogni giorno.
San Marino, caso a parte, registra un aumento che tocca mediamente il 10%, come ci ha rivelato in questi giorni la CSDL evidenziando la differenza con l’esterno. Un fenomeno che è in atto da anni e che ormai non è più possibile negare o nascondere, anche se le associazioni di categoria protestano vigorosamente. C’è in corso di elaborazione una proposta di legge sul consumo, ma al momento non è dato sapere se riuscirà ad avviare una politica dei prezzi, che non c’è mai stata.
La realtà quotidiana ci porta a considerare il recente accordo europeo sull’embargo per i due terzi delle importazioni del gas russo, che sta producendo un nuovo aumento dei carburanti. Appena diffuso l’annuncio, i prezzi del greggio sono schizzati alle stelle. Il Brent è trattato a 123,32 dollari al barile, in rialzo dell’1,36%, riaggiornando i livelli massimi toccati negli ultimi due mesi. Il Wti è a 118,57 dollari al barile con un progresso del 3,04%. Morale della favola, la benzina torna a sfiorare i 2 euro al litro. Alcune previsioni indicano che arriverà a ben 2,20 euro al litro. Tutto questo mentre assistiamo a un vero e proprio paradosso: quello dell’aumento delle importazioni dalla Russia, proprio in questi mesi di guerra.
Secondo alcuni esperti, a pesare sulle dinamiche dei prezzi è anche l’allentamento delle restrizioni Covid in Cina, che ha aumentato le speranze sulla domanda e sostenuto le quotazioni, tanto che il costo del greggio si prevede rimanga piuttosto alto anche nelle prossime settimane. Senza contare gli aumenti generalizzati in tutta Europa: l’impennata dei prezzi dell’energia, tra le altre cose, ha deviato alcuni Paesi dal prendere una posizione netta e rapida contro Putin.
Come fare? Un’indicazione molto precisa è venuta martedì 31 maggio dal Governatore di Bankitalia Ignazio Visco: “No a vane rincorse salari-prezzi, l’inflazione scenderà nel 2023”. Chissà se l’hanno sentito i sindacati che un giorno sì e l’altro pure chiedono l’intervento del governo a sostegno dell’economia, delle famiglie e delle fasce più deboli per fermare la classica «spirale prezzi-salari», ricordo dei dibattiti economici di più di trent’anni fa e che oggi sta tornando di attualità.
In sostanza Visco invita le lenti della politica monetaria a guardare più avanti, verso il disancoraggio delle aspettative di inflazione dalla spinta sulle retribuzioni.
Visco non è il solo a ipotizzare un futuro prossimo meno fosco della realtà odierna, in quanto le condizioni di partenza sono in realtà meno pesanti di quelle misurate dagli indici generali.
Infatti, nonostante la guerra e le pressioni inflazionistiche, il primo trimestre è comunque andato meglio delle attese sia per l’economia italiana, sia per la nostra economia sammarinese. La stagnazione per il momento sembra scongiurata. Anche secondo il report di Anis, le imprese vanno bene e ci sono buone proiezioni per il turismo estivo. Il ponte del 2 giugno, che vedrà 14 milioni di italiani in viaggio, oltre al ritorno del turismo tedesco e inglese, sarà un valido test per tutta la stagione. I cui benefici, sicuramente, si riverbereranno anche sul Titano.
In questo momento, i riflettori restano puntati sulla guerra del grano, che sta colpendo duramente numerose economie in via di sviluppo. Il tutto mentre il premier italiano, Mario Draghi, spinge per un accordo che consenta di sbloccare l’uscita del grano fermo dei porti ucraini. Guardando ai numeri, secondo gli ultimi diffusi da Coldiretti, in Ucraina il raccolto di grano è stimato quest’anno in 19,4 milioni di tonnellate, circa il 40% in meno rispetto ai 33 milioni previsti. In controtendenza, sale la disponibilità in Russia, dove la produzione aumenta del 2,6% per raggiungere 84,7 milioni di tonnellate, delle quali circa la metà destinate alle esportazioni. Numeri che, a detta di Coldiretti, avvalorano l’ipotesi di un trasferimento della materia prima dall’Ucraina verso Mosca.
Sebbene la Russia pesi solo il 2% nel commercio mondiale, essa è tra i principali esportatori di petrolio e di gas nonché di concimi e, assieme proprio all’Ucraina, anche di cereali. Quindi, è sempre importante tenere presente il quadro complessivo, non solo per capire quanto succede, ma anche per prendere le eventuali precauzioni necessarie a non lasciarsi travolgere dai fatti.
a/f