San Marino. Intervista a Emanuel Colombini. Debito pubblico, economia, gestione dei servizi: serve nuova linfa e bisogna sfatare antichi tabù … di Angela Venturini

A capo di un’azienda che conta più di mille dipendenti diretti e indiretti, che ha una superficie produttiva di circa 250.000 metri quadrati e una rete distributiva di oltre 6.000 punti vendita con 170 monomarca presenti in tutto il mondo, Emanuel Colombini ha un curriculum di tutto rispetto, nonostante la giovane età, oltre a essere presidente della Camera di Commercio. Lo abbiamo incontrato durante i lavori dell’assemblea generale Anis.

Come va l’economia in questo clima di guerra mondiale?

È la tempesta perfetta. Ormai ci siamo abituati ad esportare e ad affrontare i mercati in un clima di grande incertezza. Le tematiche sono le più varie: alcune aree come il Medio Oriente sono bloccate dalle guerre; per non parlare della Russia, che comunque ha grosse difficoltà di quotazione e di pagamenti. Se ci giriamo sull’altro versante, quello degli USA, c’è il problema dei dazi, che sono in fase di definizione, è vero, ma alcune categorie di metalli come l’alluminio, che sono parte della filiera industriale sammarinese, risentono di un andamento da cui derivano anche insicurezza e imprevedibilità per gli investimenti nel settore immobiliare. Oggi l’America è attendista su questo comparto e quindi l’arredamento, ma anche tutte le finiture esterne ed interne degli immobili, sono settori bloccati per i nuovi progetti. Cerchiamo di rimanere a galla, con i volumi in pareggio rispetto agli anni precedenti, ma con grandi difficoltà. Ci vorrebbero mercati nuovi per compensare alcune complicazioni.

Ci sono mercati nuovi, o è difficile trovarne?

Adesso sta andando molto bene l’area di Dubai, degli Emirati, dell’Oman.

Sul fronte energetico, invece, com’è la situazione? 

Ad inizio anno, abbiamo avuto dei picchi in risalita, tanto che lo Stato ha cercato di andare incontro ai problemi dell’industria, che comunque paga gli energetici in maniera differenziata rispetto al privato. Sulle politiche, qualcosa si potrebbe rivedere, visto che San Marino ha una quota di acquisizione di energia dal nucleare francese, che però viene utilizzata per coprire le perdite degli altri servizi. Cioè fa trading con energia a basso costo, il cui utile però viene usato per coprire servizi che sono inefficienti di principio. Ma vediamo che non c’è nessuna volontà di andare a porre rimedio. Vedi i trasporti. Vedi i rifiuti, che potrebbero essere affrontati con tecnologie per distruggerli e produrre energia elettrica senza emissioni. Ma qui non si può parlare di gestione dei rifiuti di qualsiasi tipo. Abbiamo dei tabù, sia come Paese, si come cittadini, che a volte bisognerebbe cercare di sfatare in maniera più razionale e magari tecnologica. 

Anche il debito pubblico è un tabù? Abbiamo due miliardi di debito…

Quello non è un tabù, è una realtà. Tutti i Paesi maturi sono indebitati, ma il debito va gestito bene. Per fortuna, siamo in una fase in cui i tassi sono in fase calante, per cui costa meno indebitarsi. A mio avviso, San Marino dovrebbe ragionare non tanto su come abbattere dalla sera alla mattina un debito così importante, ma dovrebbe lavorare sulle entrate. Nuova economia, nuovi settori da attrarre. Io ho anche il cappello della Camera di Commercio – Agenzia di sviluppo, oltre a quello da imprenditore, e anche in quel contesto stiamo cercando le nuove nicchie da proporre al Paese come soluzione per attrarre nuovi investimenti. Bisognerebbe essere un po’ più aperti, perché il nuovo non è sempre negativo. Serve una linfa originale, innovativa. Non possono essere i settori classici, quelli che conosciamo da sempre, a sostenere la Repubblica. Secondo me abbiamo bisogno di avvicinare nuove imprese, di approcciare nuove aree nel settore tecnologico, quello dell’IA e del software, dove c’è poco impatto ambientale, se non per il consumo di energia, che comunque si dovrebbero andare a gestire con le fonti green. Questa secondo me è la chiave. 

San Marino e l’Europa, qual è la sua idea? 

Capisco tutti i dubbi che possono esserci attorno a un passaggio epocale, perché una volta entrati, il futuro sarà segnato su questo percorso. Alla nostra categoria non spaventa, anzi lo vediamo come un passaggio inevitabile, che dà la possibilità alle imprese di poter continuare ad andare avanti e poter operare in un mercato che conta ormai 450 milioni di consumatori e che poi esporta in tutto il mondo. Ogni mese esce una norma europea e se noi siamo fuori, totalmente disconnessi, questo va a complicare l’operatività del rapporto San Marino – Italia, San Marino- Europa. Per il settore industriale, che sorregge la Repubblica dal punto di vista delle entrate, si deve fare. È una cosa che non riusciamo ad evitare. 

Eppure, c’è molta paura, specialmente da parte della piccola impresa, dei commercianti, degli artigiani, che vedono un rischio competitivo a cui forse non riescono a fare fronte. 

Questo è vero, perché l’Accordo di associazione andrà ad abbattere alcune barriere nello scambio di beni e servizi. Ma è sbagliato dire che oggi non c’è la concorrenza, anzi c’è lo stesso. Ci sono tante aziende italiane che hanno la stabile organizzazione a San Marino. È facile fare una stabile organizzazione. È vero che non lo fanno i piccolissimi, ma una piccola / media impresa italiana, se vede un’opportunità a San Marino, in pochi giorni si organizza per venire a lavorare qui. Secondo me, pensare al protezionismo oggi, non è la soluzione. 

Un ultimo argomento, tanto delicato quanto sensibile: le banche, che sono comunque esposte alla tagliola europea e talvolta anche ad appetiti, che potrebbero non essere chiari. Lei come vede la situazione?

È un argomento delicato. Il settore bancario è sicuramente attenzionato, anche sulla possibilità di investitori che potrebbero affacciarsi. C’è un tema di immagine, piuttosto critico, che va gestito. Ma bisogna anche dire che con le risorse che vengono solo da capitali sammarinesi, ivi compreso anche lo Stato, non so quanto questo sia sostenibile per fare quel percorso di capitalizzazione di cui le banche hanno estrema necessità. Quindi, bisogna fare attenzione, ma dall’altra parte penso sia inevitabile prevedere qualche partecipazione che viene dall’esterno.