San Marino. Intervista a Gerardo Giovagnoli, PSD: “Pensiamo che la ruota abbia girato!” … di Angela Venturini

Presidente PSD Gerardo Giovagnoli

Le sue passioni non le ha mai nascoste: la sinistra e l’Europa. E adesso che il PSD si prepara al Congresso, non solo da posizioni di maggioranza ma dietro a un successo elettorale tanto strepitoso quanto inaspettato, il segretario Gerardo Giovagnoli alza l’asticella. 

“Eravamo convinti di avere questo avanzamento perché gli anni che siamo stati al governo (e l’elettorato ce ne ha dato ragione) sono stati efficaci. Abbiamo fatto una campagna elettorale coraggiosa nei messaggi e nei contenuti. Non ci siamo nascosti nel voler rappresentare la parte europeista del Paese. Abbiamo voluto usare le parole classiche della politica, come: socialismo e riformismo, unitamente ai riferimenti alla nostra storia. Il non doversi più nascondere dopo gli anni del movimentismo e dell’antipolitica, ha pagato”.

Cosa vi aspettate da questo Congresso?

“Siamo di fronte ad una stagione di congressi in cui sono coinvolti i tre partiti maggiori del Paese: noi, Libera e la DC. Ci aspettiamo di cavalcare l’onda positiva che si è creata con le elezioni; che contenuti e proposte siano la voce principale rispetto agli equilibri di potere. Ma soprattutto abbiamo la volontà di lavorare ad una proposta per l’avvicinamento e il rafforzamento delle forze di sinistra. In particolare Libera, che è già nostra alleata in maggioranza e con la quale abbiamo già costituito una coalizione”. 

Fino a poco tempo fa sembrava impossibile mettere insieme le mille anime del socialismo, anzi sembrava quasi anacronistico farlo dal momento che erano cadute le ideologie, invece questa idea che era quasi un’utopia, è andata in porto: Libera e PSD unite in una coalizione. Adesso, lei dice che non si potrà andare alle prossime elezioni con questa situazione. Non è un azzardo?

“Credo di no. Credo che accontentarsi di fermarsi ad una coalizione, voglia dire rinunciare ad un’ambizione che comunque ci deve essere per chi voglia fare una politica da protagonista: ovvero quella di sommare le forze, essere più rappresentativi, contare di più nel Paese. Non una questione di numeri, ma di capacità di tradurre in concreto le proposte che vengono avanti, perché sostenute da una forza maggiore. È vero, veniamo da anni di scissioni e fuoriuscite, ma pensiamo che adesso la ruota abbia girato, che si sia aperta un’altra fase storica, e che anche alla luce del processo europeista, sia necessario mettere da parte: uno, i personalismi; due, gli isolazionismi”. 

E allora parliamo di legge elettorale, dal momento che ad ogni inizio legislatura torna il ritornello che bisogna cambiarla. A tal proposito, semplificando al massimo, sembra di poter distinguere due maxi aree: quella di un ritorno al proporzionale puro, con la possibilità di far accedere in Consiglio anche partiti con un solo Consigliere; e quella del maggioritario puro, sminuendo il ruolo dei piccoli partiti, che spesso si distinguono solo per i ricatti. Il PSD su quale orientamento si pone?

“Dal punto di vista storico, l’attitudine sammarinese è sempre stata per il proporzionale, fino al 2007, quando si tentò la strada del bipolarismo perché si sperava di innescare un processo che favorisse la divisione dello scenario politico in due parti. Tutto sommato è stato un errore velleitario perché leggi elettorali non riescono a plasmare lo scenario politico, che sempre sfugge alle previsioni e che risponde invece ad una cultura multipolare, non avvezza a sottostare alle imposizioni maggioritarie. Con il premio di maggioranza, addirittura si è andati a bloccare la partecipazione di Consiglieri eletti. La qual cosa ha portato a divisioni e fuoriuscite. Il concetto è che non si può imbrigliare la volontà degli elettori attraverso una legge elettorale. La logica, che ormai sta prendendo anche diversi Paesi europei, è che ci si metta d’accordo dopo il risultato elettorale. Noi siamo per il ritorno al proporzionale, visto che ci siamo vicini. Ma senza infingimenti, senza doppi turni, senza premi di maggioranza, con alcuni dispositivi su cui si può ragionare, e tra questi la soglia di sbarramento perché francamente il 5% è una soglia troppo alta”. 

E riguardo alle coalizioni, che comunque erano un aspetto fondamentale dell’impostazione maggioritaria?

“Anche il concetto di coalizione ormai è superato rispetto agli intendimenti originari: oggi si fa un cartello elettorale, ma ogni partito corre per se stesso. Ecco perché dico che per le prossime elezioni occorra fare un passo in avanti. Vedremo cosa vorrà fare Libera, ma sicuramente l’impegno del PSD dovrà essere verso una maggiore collaborazione”. 

Arriviamo all’Europa: un obiettivo obbligato quanto ineludibile. Però molti non l’hanno ancora capito, anche perché sono poco informati, e altri invece mostrano un atteggiamento superficiale. Soprattutto i politici, quando affermano che non c’è bisogno di referendum, la qual cosa significa che non si tiene in alcun conto il coinvolgimento dei cittadini…

“Lei pensa che con sì o con un no, si possa coinvolgere i cittadini?” 

Potrebbe essere comunque un modo per spingere la gente ad informarsi. Chi ha letto il testo dell’Accordo, sa che la sfida è enorme e che il Paese è arretrato, professionalmente inadeguato, sostanzialmente non pronto. Non crede?

“Le rispondo con una provocazione: San Marino era pronto quando ci sono arrivati tra capo e collo: la black list internazionale, la procedura rafforzata di Moneyval e OCSE, la chiusura dei rapporti con l’Italia per la mancata firma dell’Accordo economico finanziario del 2006, l’arresto dei vertici di Carisp e la dissoluzione di Delta? Venivamo da un sistema appena creato: 12 banche e oltre 50 finanziarie, una raccolta bancaria di 14 miliardi. In pochissimo tempo, le banche sono rimaste quattro, le finanziarie quasi sparite, la raccolta crollata a 5 miliardi: eravamo preparati?”

La fermo subito: in quel caso, non eravamo preparati, ma in questo caso sapevamo sin dall’inizio che avremmo dovuto accogliere nel nostro ordinamento l’acquis comunitaire. Abbiamo avuto 10 anni e non ci siamo preparati…

“C’è una chiave di lettura diversa. Quando ci sono arrivate le mazzate di cui sopra, abbiamo capito che era necessario un avvicinamento alla mentalità europea, e l’abbiamo fatto in maniera radicale. Forse non voluto, perché siamo stati spinti, ma a un certo punto ci abbiamo creduto. Lo scambio di informazioni, la riforma fiscale del 2013, il percorso di associazione con la UE cominciato nel 2015. In pratica, già da allora si è decretata la fine di un sistema che aveva a che fare con la segretezza e la discrezionalità, e si è lavorato con una nuova apertura mentale e concettuale. Va anche detto che, a parte una parentesi tutto sommato breve, San Marino ha sempre campato di economia reale. E se oggi abbiamo oltre 8 mila frontalieri, vuol dire che questo è vero. Ed è per questo che serve l’Europa: avere la compliance internazionale e l’agevolazione del lavoro per le nostre aziende, che potranno affacciarsi sul mercato unico”. 

Però è rimasto in piedi il T2: l’unica cosa che avremmo dovuto portare a casa, è che invece non è stata toccata. Non le pare che siamo in Europa a metà? 

“È un aspetto fiscale che effettivamente non è stato sistemato, ma ci sono le dichiarazioni di entrambe le parti, Europa e San Marino, che garantiscono la disponibilità a trattare anche questo aspetto.”

Angela Venturini