San Marino. Intervista di Repubblica Sm a Pasquale Valentini (Dc): “Non daremo stampella a questo governo”

Non è passato inosservato il passaggio in cui il nostro Segretario alle Finanze, Simone Celli, nell’ambito di un intervento tutto volto a interpretare positivamente il report giunto dal Fmi, ha parlato di ceto politico e delle azioni che esso dovrà mettere in campo. Dunque tra le tante cose non chiare è emerso però chiaramente che esiste un ceto della politica e che alcuni pur ripetendo sempre come un mantra la parola condivisione sentono di rappresentare una élite da non mettere mai in discussione. Chi dissente, come la stampa italiana o estera che di recente non ha parlato bene di San Marino viene delegittimato con lo sbrigativo anatema della macchina del fango. “Molte cose restano da fare – continuano a ripetere dal governo – ma la strada imboccata è quella giusta, occorre solo andare avanti con ancor maggior determinazione”.

Se la situazione sia realmente grave lo abbiamo domandato a Pasquale Valentini, già Segretario alle Finanze.
“La situazione è grave perché importanti sono i problemi da affrontare: l’economia che dopo la ripresa del 2016 sta rallentando a causa delle incertezze del sistema bancario, uno scenario di base – come ha sottolineato il FMI – soggetto a rischi al ribasso. Tuttavia a rendere ancor più grave la situazione è la modalità di approccio che Governo e maggioranza hanno messo in atto fin dal loro insediamento: una modalità che, sotto lo slogan della discontinuità con il passato, ha finito per avallare provvedimenti straordinari adottati quasi sempre con urgenza e rivolti ad interessi particolari, spesso avulsi da una strategia comune, fatto salvo poi fare rocambolesche marce indietro quando quei provvedimenti non servivano più. E’ questo modo di procedere che ha accentuato la crisi, e le criticità di una tale condotta non le hanno rilevate soltanto i partiti di opposizione, ma sono rintracciabili facilmente nelle conclusioni della visita del FMI e, se volessimo essere sinceri fino in fondo, in quelle che sono ancora all’attenzione della Magistratura”.

In ogni caso dopo il report del Fmi che ha parlato di debito pubblico al limite della sostenibilità una scelta si renderà inevitabile perché si è creata una serie di condizioni inedite che rendono difficile il mantenimento dello status quo.
“Sono d’accordo e infatti è una priorità assoluta definire al più presto una strategia condivisa che coinvolga tutti gli attori del sistema economico e che ridia fiducia a coloro che dovranno ritrovare le energie che serviranno a portare avanti il cambiamento. E’ incredibile che ci si ostini a dire che la strada imboccata è quella giusta quando le scelte del 2017 ci hanno condotto a un passo dal baratro”.

Voi parlando di una strategia condivisa offrite al governo una via d’uscita?
“Chiedendo di guardare avanti le opposizioni non sono per questo disposte a legittimare gli errori del Governo e della maggioranza. Gli errori, se riconosciuti, possono non essere un ostacolo e il loro superamento può diventare la base di quell’azione comune che il Paese reclama e che anche il FMI ci ha chiesto con urgenza di impostare. Per questo avevamo proposto, a conclusione del dibattito consigliare della scorsa settimana, un OdG che impegnava il Congresso di Stato a convocare nel mese di febbraio p.v. una conferenza permanente dei rappresentanti delle forze politiche consigliari, delle categorie economiche e sindacali per definire le linee di indirizzo del progetto nazionale; ma il Governo e la maggioranza hanno rifiutato questo approccio”.

Quali sono gli errori più gravi commessi dall’attuale maggioranza?
“Numerose e di varia natura sono le criticità che hanno contraddistinto l’attuale maggioranza, ma quello che preoccupa sono le conseguenze che hanno generato come ha sottolineato anche il Fmi: cioè l’aver creato incertezza attorno al bilancio dello Stato facendo pesare su quel bilancio tutti i problemi derivanti dagli interventi messi in atto sul sistema bancario. Il Fmi non ha visto di buon occhio nemmeno la modalità con cui lo Stato ha pensato di fornire le garanzie per la copertura delle perdite di Cassa di Risparmio”.

A ben vedere però su Cassa di Risparmio il governo ereditava una situazione difficile.
“Qui sta il cuore del problema. All’indomani del suo insediamento il governo ha parlato di una situazione gravissima con l’intento, lo abbiamo capito dopo, di giustificare i provvedimenti che avrebbe adottato poi. Serviva infatti una giustificazione per arrivare dove si è arrivati”.
Nel suo rapporto il Fmi caldeggia una rapida riprivatizzazione di Cassa di Risparmio. Quali sono stati i passaggi che in passato hanno portato lo Stato a ricapitalizzare l’Istituto?
“Nel suo rapporto del 2013 il Fmi aveva invitato lo Stato a tenersi pronto a ricapitalizzare la Banca perché l’investimento di privati in quel particolare momento, con l’istituto intento a recuperare i propri crediti, avrebbe tolto ricchezza al sistema economico. In altre parole si volle allora sventare il rischio di svendere l’Istituto e per questo fu presa la decisione di ricapitalizzare con l’impegno però a seguire la raccomandazione del FMI che già allora, pur avendo caldeggiato l’intervento dello Stato, parlava di una strategia per riportare la banca nelle condizioni di fare utili e camminare con le proprie gambe. Dunque doveva trattarsi di un intervento non permanente che non sarebbe mai dovuto sfociare nel pericolo di legare il bilancio dello Stato alla sorte e alla sopravvivenza di una Banca”.

Quali sarebbero stati gli interventi giusti da porre in campo su Cassa di Risparmio?
“I punti di forza avrebbero dovuto essere la trasparenza e la condivisione di una strategia che sarebbe dovuta andare di pari passo con la sostenibilità degli interventi richiesti. Hanno prevalso invece opacità e forzature”.

E che idea si è fatto lei sull’accelerazione dell’accordo di associazione con l’Europa?
“Rendere il nostro Paese equivalente ai paesi dell’Unione è il passo fondamentale per aumentare la possibilità del sistema economico di dialogare con l’esterno e di riacquistare vitalità. Il che significherebbe maggior occupazione e maggior disponibilità di risorse. Su questo stavamo lavorando noi. E tuttavia un obiettivo così ambizioso non si raggiunge smantellando Banca Centrale e mettendo in discussione il Tribunale. Sono anzi questi tutti fattori che semmai indeboliscono la possibilità di un accreditamento a livello internazionale. Noi avevamo imboccato la strada per ridare credibilità all’intero sistema, anche rafforzando Banca Centrale dopo i fatti del 2010, creando le basi di una collaborazione internazionale che cominciava a dare risultati come l’uscita dalla black list. In poco tempo è stato rimesso in discussione tutto: Banca Centrale è stata di nuovo decapitata e privata della autorevolezza che nell’evoluzione del nostro sistema è una condizione essenziale. E questo dopo che in un primo momento le si era voluto riconoscere un’autonomia anche in ambiti che non erano di sua competenza”.

Si è fatto un’idea anche dell’apertura del Paese agli Arabi?
“E’ un’operazione che non conosco nei dettagli ma che per essere valutata adeguatamente avrebbe bisogno di approfondimenti di varia natura, sia tecnica che politica. San Marino è un paese sovrano ed ha diritto ad impostare autonomamente una propria strategia di attrazione degli investimenti. Tuttavia non è immaginabile che un Paese delle nostre dimensioni e situato al centro di un Paese come l’Italia possa prescindere dall’avere un rapporto importante di condivisione con la vicina Italia riguardo allo sviluppo della propria economia soprattutto in relazione a colossi finanziari come quelli dei Paesi Arabi. Per questo ritengo che azioni di questo tipo dovrebbero essere esaminate con maggiore cautela e soprattutto dopo aver fatto chiarezza di molte vicende che ancora non hanno trovato una giusta definizione”.
Olga Mattioli (Repubblica Sm)