Non c’è pace in Medio Oriente. A quasi un anno dagli attacchi del 7 ottobre 2023 da parte dei terroristi di Hamas, la guerra di Gaza si allarga, e la regione sembra sempre più vicina a una pericolosa escalation. Nel frattempo, anche nei paesi del Mediterraneo allargato e dell’Africa si moltiplicano gli scenari di instabilità: il Ghana si prepara ad affrontare elezioni cruciali, anche la Tunisia si avvicina al voto; la neocostituita Alleanza degli Stati del Sahel e la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale sono in grande tensione, a un anno dal golpe in Niger. Lo scacchiere del Mediterraneo è in progressivo cambiamento. Senza dimenticare la guerra in Ucraina e la promessa di intensificazione che continua ad arrivare dal Cremlino. Siamo in una strada senza uscita?
Ascoltando i reportages giornalistici, sembra che Netanyahu abbia comunque deciso di imboccare una strada che, politicamente e quindi militarmente, non prevede passi indietro, ma solo la vittoria a qualunque costo. Il suo risiko, dunque, potrebbe prevedere questo ragionamento: invadere il Libano per provocare la reazione dell’Iran e di conseguenza l’intervento degli Usa, tentando così di chiudere la partita con gli ayatollah, Hamas e Hezbollah nello stesso tempo.
La moral suasion della Casa Bianca, energica più a parole che nei fatti, finora non sembra avere molto impressionato il leader israeliano. Come sembrano del tutto inefficaci gli appelli alla pace e il riconoscimento di entrambi gli Stati, che ormai si ricorrono non solo da parte delle persone, delle associazioni, dei partiti, ma anche dagli stessi Stati Nazionali rappresentati all’ONU.
L’inasprimento ha attirato l’attenzione dei leader del mondo riuniti all’Onu per la 74esima Assemblea Generale dal 18 al 27 settembre (hanno presenziato anche i Capitani Reggenti). Tutti consapevoli che la crisi in corso nella regione, estendendosi al Libano, rischia di sfociare in un conflitto totale. Molti oratori, avvicendandosi sul palco hanno espresso rabbia e frustrazione per un’esplosione di violenza che l’Onu, lacerata dalle divisioni e dallo scontro tra potenze, sembra incapace di arginare.
In effetti, nel il Palazzo di Vetro si è raccolto un mondo che non è mai sembrato tanto frammentato. I conflitti in Medio Oriente, Ucraina e Sudan, le tensioni tra Cina e Stati Uniti e il divario tra Nord e Sud Globale stanno lacerando un multilateralismo già in affanno, sempre meno capace di ricomporre fratture e contraddizioni globali. Un primo segnale di ottimismo è venuto dall’adozione del “Patto per il futuro”, una dichiarazione in 56 punti che promette impegno sul clima e lo sviluppo sostenibile, il disarmo, la lotta alla povertà, i diritti umani e la governance digitale.
“Siamo qui per salvare il multilateralismo dal baratro” ha detto in quella occasione il Segretario Generale ONU Antònio Guterres. E per farlo, ha aggiunto: “Servono azioni, non solo accordi”.?Ha lanciato cioè un guanto di sfida ai leader di tutti gli Stati, perché non restino solo parole sulla carta. Il patto prevede, tra le altre cose: dare priorità al dialogo e ai negoziati, accelerare i cambiamenti nel sistema finanziario internazionale e la transizione dai combustibili fossili. Argomenti complessi e delicati, ma che bisogna affrontare in via prioritaria, altrimenti non se ne esce. In altre parole: non basta cercare di comporre i conflitti bellici, bisogna mettere sul tavolo anche le questioni economiche e decidere tutti insieme. Tutto questo, mentre in Medio Oriente c’era una recrudescenza degli attacchi e i funzionari internazionali riuniti a New York assistevano impotenti.
Ecco perché bisogna riformare in senso più rappresentativo il Consiglio di Sicurezza, dominato da cinque Paesi con diritto di veto (Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Regno Unito), ormai in una situazione di stallo permanente. I continui fallimenti non rappresentano una coincidenza perché una manciata di nazioni potenti, che rappresentano solo il 25% della popolazione mondiale, ma detengono il pulsante nucleare, hanno troppo spesso manipolato il sistema globale di pace e sicurezza per soddisfare i loro interessi geopolitici ed economici. Russia, Stati Uniti e Cina, da soli, hanno posto la totalità dei veti al consiglio di Sicurezza nell’ultimo decennio. Il criterio di ingresso nel Consiglio di Sicurezza ONU era stato, a suo tempo, quello dei Paesi vincitori del secondo conflitto mondiale (anche se la Francia sicuramente non aveva vinto, e si volle la Cina che era alleata URSS per impedire la formazione di un blocco socialista). Ci sono anche altri dieci membri, che si alternano ogni due anni. Ma tutto questo fa capire come la struttura sia ampiamente superata e che in questo modo non si risolverà mai nulla. Tanto meno i conflitti in corso.
Angela Venturini