Un progetto di sviluppo per San Marino: l’opposizione dice che manca; la maggioranza assicura che c’è. A parte la divergenza di opinioni, tutti aspettano il mega investitore straniero che, oltre ai soldi, riaccenda l’orgoglio sammarinese. Basta che non sia Ali Turki, e tutto va bene. Il problema vero è che per qualsiasi tipo di investimento estero mancano totalmente le basi, cioè un quadro normativo che tuteli l’investitore straniero, ma anche il paese che lo ospita.
Di solito, la trattiva per la protezione di questi investimenti va di pari passo con gli accordi sulla doppia imposizione fiscale, perché non ha senso fare gli uni senza pensare agli altri. San Marino ha firmato accordi contro la doppia imposizione fiscale con una trentina dei 190 paesi al mondo. Trattati per la protezione degli investimenti, neanche uno, a quanto ci risulta. Neppure con l’Italia. È come costruire una casa senza le fondamenta.
Come si fa a fare accordi e convenzioni con imprese straniere, con grandi gruppi, o semplici imprenditori, se non c’è la protezione dell’investimento? Come si fa ad aprire la strada dalla Russia, dalla Cina, o semplicemente da Bologna o Milano? Continuiamo ad andare avanti con le pacche sulle spalle, con un legame diretto con qualcuno dentro il Congresso di Stato e una foto sul Pianello?
È proprio questa la cosa che uno Stato non deve fare: mettere in mezzo la politica dentro questioni di affari. La soluzione è relativamente semplice. Basta preparare un libretto, una brochurina, una guida, dove dentro ci sono scritte le regole per investire a San Marino; come, quando e perché si può approdare sul Titano, in quali settori, con quali modalità e con quali limiti. Ovviamente con le sanzioni previste in caso di violazione della norma e la sede giurisdizionale in caso di controversie. Bandita ogni discrezionalità, tutto deve essere deciso sulla base di un protocollo che l’investitore può tranquillamente consultare sui siti ufficiali, senza necessità di avvocati, commercialisti, presunti esperti o amici in Congresso di Stato.
Per amore di completezza, il testo dovrà essere armonizzato alla legislazione interna vigente; alle regole generali del diritto internazionale; ai trattati internazionali eventualmente presenti tra gli Stati interessati. Questo vuol dire certezza del diritto. Questo significa autorevolezza e responsabilità. Questo vuol dire serietà.
Si tratta di un semplice atto di politica interna, che ovviamente può essere concordato e condiviso con le Segreterie interessate, ma che può avere una valenza enorme per il Paese perché va ad individuare esattamente ciò di cui ha bisogno, o non ha bisogno. Il suo impatto sul fronte internazionale, è enorme.
Questo deve fare una politica industriale che vuole davvero dare una spinta al rilancio e allo sviluppo. Non servono a niente i selfie con i vari ambasciatori che casualmente, o non casualmente, capitano qui, offrendo comunque l’immagine di compagnucci della parrocchietta di antica memoria.
Un Segretario di Stato non deve seguire direttamente gli affari. I contatti e le opportunità (la politica è fatta di relazioni), una volta creati, devono essere seguiti da una struttura adibita a fare questo, dove dentro ci siano tecnici e di esperti che devono solo verificare la corretta applicazione delle leggi. E poi c’è la diplomazia economica, che si occupa di investimenti diretti esteri e che promuove all’estero le aziende del proprio paese.
A nostro parere, quindi, un buon atto di politica industriale come la redazione di una guida per gli investimenti esteri, è meglio di qualsiasi programma di sviluppo che comunque, senza leggi a supporto, rischia di essere solo un inutile libretto di slogan. Non sarebbe male se qualcuno nei partiti, o più in generale nella politica, cominciasse a parlare di queste cose.
a/f