La chiamano “mafia” ma non è solo quella a tenere alta l’attenzione degli Stati. Il crimine ormai non conosce frontiere, né mezzi, la sua organizzazione è capillare e sempre più professionale. Per questo si parla di criminalità organizzata e il contrasto ai fenomeni malavitosi assume sempre di più una dimensione transnazionale, come si è visto il 20 e 21 giugno scorsi all’Assemblea Parlamentare del Mediterraneo (PAM), organo transnazionale regionale provvisto di specifica identità giuridica che ricopre il ruolo di osservatore presso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
La conferenza, che si è tenuta Napoli e si è volta nell’ambito del Meccanismo ONU per la revisione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e dei suoi Protocolli (Convenzione di Palermo), ha rappresentato il contributo parlamentare a questo processo intergovernativo di revisione e costituisce per i parlamentari della PAM una piattaforma per interagire con i principali stakeholder per determinare la pertinenza e la validità, ad oggi, delle disposizioni legislative derivanti dall’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli nella regione Euro-Mediterranea e nel Golfo.
A partire dalla seconda metà degli anni ’80 il fenomeno dell’emergenza mafiosa in regioni storicamente non abitate da manifestazioni criminali di particolare pericolosità inizia a ricevere un’attenzione specifica da parte dell’opinione pubblica. La supposta «novità» del fenomeno stimola un acceso dibattito fra i rappresentanti delle istituzioni politico-amministrative locali, spesso orientati a negare la realtà di una presenza che potrebbe comportare una sensibile perdita di immagine per la città, o la regione nel suo complesso; ed esponenti delle forze investigative e giudiziarie, che, quotidianamente, avvertono segnali preoccupanti di inquinamento del tessuto economico e sociale ad opera di sodalizi mafiosi provenienti dalle aree di più antico insediamento.
Con il passare del tempo, è altissimo il livello di infiltrazione che la criminalità organizzata riesce ad ottenere in ogni ambito della vita collettiva, rimanendo al passo con i tempi, trasformandosi e sfruttando le occasioni presentate, pandemia inclusa. Tra le altre cose, l’appuntamento napoletano è servito a mettere a punto alcune modifiche, introducendo un capitolo sul fenomeno dei crimini informatici, particolarmente d’attualità di questi tempi con aziende che sono derubate dei loro dati e costrette a pagare per riaverli.
Anche a San Marino, ci si è messo del tempo a capire la sua permeabilità rispetto alle organizzazioni criminali, e quando si è capito, ormai l’infiltrazione era molto profonda e così camaleontica da rendere quasi impossibile la sua eradicazione. Dal pane della mafia, scoperto tra il 2009 e il 2010 (la famosa vicenda Vallefuoco), al progetto di occupazione dell’intero sistema finanziario, il passo sembra breve. Ma non lo è. Tra il 2017 e il 2019, come ha rilevato la Commissione di inchiesta sulle banche, un gruppo di potere imprenditoriale esterno, affiancato da un gruppo di potere locale, è riuscito a collaborare per i suoi perversi fini, con parte della politica e parte del tribunale. Il danno potrebbe essere quantificato in un miliardo di euro (probabilmente è anche di più) e per fortuna il progetto è stato bloccato dall’attuale governo, ma San Marino si trova a dover pagare i debiti. Probabilmente ancora per molto tempo.
Per i piccoli Paesi come il Titano, non è facile intervenire su una vulnerabilità che è strutturale e anche perché le sue risorse economiche sono risicate. Quello che si può fare è intervenire con le leggi, come ad esempio si è fatto sull’anonimato societario, anche se la battagli è stata davvero molto forte, e con organismi di controllo, che però hanno bisogno di professionalità accuratamente formate.
La cooperazione tra Stati, anche in questo caso diventa fondamentale. La “Convenzione di Palermo contro la criminalità organizzata transnazionale”, a cui oggi aderiscono 190 Stati su 193 membri dell’ONU, appare, a distanza di venti anni dalla sua adozione, sempre più come un formidabile strumento progettato guardando al futuro. Valorizzando la visione anticipatrice di Giovanni Falcone, che aveva compreso fino in fondo la dimensione economica delle mafie, la loro incessante evoluzione strutturale, la loro capacità di sfruttare il “lato oscuro della globalizzazione”, la Convenzione di Palermo rende possibile uno straordinario salto di qualità sia dal punto di vista operativo, sia dal punto di vista simbolico, concorrendo allo sviluppo di quella «cultura della cooperazione» che rappresenta una delle più importanti linee-guida dell’attività delle Nazioni Unite.
E soprattutto per avere armi efficaci contro un fenomeno che viene descritto come: inafferrabile, insidioso, sofisticato, mutevole, camaleontico, insinuante, capillare, permeante, molecolare, del quale la PAM tonerà a parlare nella Conferenza mondiale che si svolgerà a settembre a Vienna.
a/f