Abbiamo i problemi più grandi e peggiori degli ultimi 70 anni, cioè dal dopoguerra in poi. Mai vissuta una congiuntura così forte che ha visto alternarsi la pandemia, la guerra, la crisi energetica e la crisi ambientale.
In quegli anni lontani c’era una coscienza collettiva molto forte da parte della politica. Al di là degli schieramenti o dei partiti, nonostante la forte contrapposizione ideologica. Tutti mettevano davanti il bene comune. In particolare, a San Marino, agli inizi degli anni ’50 si verificarono episodi di una dignità istituzionale, di cui si è perso totalmente l’esempio (vedi le vicende legate al famoso risarcimento dei danni da bombardamento). E c’era la miseria più nera.
Adesso la buona politica si fa fatica a vederla, la ricerca del consenso a tutti i costi porta ad accettare conseguenze che potrebbero rendere incurabili i tanti mali che si sono accumulati in tanti anni di politiche scellerate, che la crisi odierna unita alla volontà di trasparenza, hanno scoperchiato nella loro tragica evidenza.
L’attuale opposizione, fiancheggiata molto spesso da frange della maggioranza, agita il grande mare dell’ambiguità con ragionamenti che cercano il registro emotivo piuttosto che i contenuti reali e una presa di coscienza delle situazioni che, invece, richiederebbero ben altro dalla politica. Il rischio che corrono è che si trasformino in “venditori di pentole”. Venghino signori, venghino. Noi siamo più bravi di loro. Dimenticano, o sottovalutano, che gli attacchi personali, costruiti sulle fakes, sulle banalità, sulle semplici strumentalizzazioni politiche, quasi mai portano risultati. O meglio possono rivelarsi un boomerang.
Non siamo un’isola felice, nessuno può esserlo in questo contesto. Il fatto di essere piccoli può essere un vantaggio perché consente di intervenire più celermente su tutte le cose. Ma non siamo indipendenti, nel senso che dobbiamo comprare tutto fuori confine e, nelle scelte decisive abbiamo necessità di allinearci all’Italia e all’Europa. Vedi i vaccini, i green pass, la benzina, il gas, l’acqua, l’elettricità. Perfino la manodopera arriva da fuori confine, se vogliamo far lavorare le aziende. E anche i manager, i consulenti, i tecnici, perché ovviamente una popolazione così numericamente piccola non riesce ad esprimere tutte le specificità professionali di cui oggi hanno bisogno sia l’economia, sia la finanza, sia la politica. È possibile ritagliarsi ancora qualche privilegio (vedi l’elevato tenore degli stipendi medi e delle pensioni, vedi lo stato sociale, vedi il costo delle bollette, eccetera), ma sono cose si pagano. E soprattutto sono subordinate ad un vero interesse della politica nei confronti del cosiddetto “bene comune”. Questo è il punto centrale, il fulcro, che ogni tanto si perde di vista.
Facciamo un esempio attualissimo: il famoso “articolo della discordia” per via dei 10 milioni e passa, frutto delle confische, spariti dalla ex banca CIS. Chi ne sapeva qualcosa? Nessuno. Chi ha fatto emergere il “presunto reato” suscitando la giusta collera dei cittadini? Chi ha fatto emergere i mancati guadagni dell’ISS tramite le rivalse? Chi ha sollevato la questione Netco? Altri milioni spariti dalle casse pubbliche. E via di questo passo.
Ci voleva qualcuno che non avesse timore di opporsi al “pensiero unico” che tende a coprire le magagne e battersi perché certi fenomeni distorsivi arrivino in tribunale per la verifica delle responsabilità e non abbiano più a verificarsi. Ci voleva anche qualcuno che andasse a fare le riforme scomode, quelle che non piacciono alla gente e che non piacciono alla politica perché minano il consenso. Ma se c’è un interesse superiore, che riguarda tutto il Paese e il suo futuro prossimo venturo, allora bisogna farle. Anche sotto la minaccia di uno sciopero generale.
Questo è l’obiettivo della riforma delle pensioni, che non “rivoluziona”, siamo d’accordo, ma stabilizza il debito e non lo fa crescere in maniera esponenziale. È un obiettivo minimo? Forse no, viste le reazioni. Altrettanto dicasi per la riforma del lavoro, che cambia, migliora, semplifica le norme pre-esistenti. Certo che di fronte all’immobilismo di sistema a cui si è assistito per anni, tutto ciò dà fastidio.
Il problema non è essere pessimisti o meno. Le situazioni negative ci sono sempre state. La differenza è che adesso si fa fatica a fare finta di non vederle e a non agire di conseguenza, come se la priorità non fosse il bene comune. La democrazia è un sentiero, ha senso se siamo in tanti a percorrerlo.
a/f