Tribuna ha potuto visionare le 290 pagine dell’ultimo rapporto – quello relativo al secondo semestre del 2015 – della Direzione investigativa Antimafia (Dia) italiana. Un appuntamento che negli anni passati veniva vissuto qui con apprensione. Questo perché come i lettori più attenti ricorderanno, San Marino veniva citato in diversi passaggi e non certo in maniera positiva. Venivano sottolineate le connivenze del sistema, nonché la mancanza di anticorpi per contrastare la criminalità organizzata. Leggasi la carenza di norme adeguate e gli strumenti necessari per porre in essere una concreta guerra alla mafia e alle sue ramificazioni. Come si dice, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. Oggi l’Antica Repubblica è un Paese virtuoso i cui significativi passi in avanti sono stati pubblicamente riconosciuti da i più importanti organismi internazionali. Per ultimo il Greco – massimo organismo per il contrasto alla corruzione – ha sancito il definitivo cambio di rotta rispetto a una San Marino che oggi non esiste più. Merito del lavoro del nostro Tribunale, supportato da governo e maggioranza che hanno dotato dei mezzi adeguati gli inquirenti. L’attenzione tuttavia non può e non deve essere abbassata. Al contrario il rapporto della Dia mette in guardia il Titano da possibili infiltrazioni criminali. Nella sua disamina dedica diversi passaggi ai gruppi mafiosi attivi in Repubblica. Un monito insomma a tenere gli occhi aperti: bisogna continuare a parlare di mafia, nella consapevolezza che i balzi in avanti fatti non ci rendono certamente immuni al fenomeno. D’altra parte i quotidiani processi per riciclaggio celebrati ai Tavolucci sono il segnale tangibile che qui girano ancora parecchi interessi. E i soldi fanno gola alla criminalità organizzata.
L’Antimafia e il fattore culturale
La Dia prende vita su ispirazione dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che ben avevano compreso come solo la perfetta integrazione tra le varie Forze di polizia avrebbe potuto contrastare le mafie, spesso caratterizzate da accese conflittualità interne, ma di certo compatte nell’intento di inquinare il tessuto sociale, economico e produttivo nazionale ed internazionale. Eppure al netto delle leggi, degli uomini impiegati, delle associazioni Antimafia è proprio la coscienza collettiva il vero motore che può affrancare un Paese dalle mafie, cui deve corrispondere, da parte delle Istituzioni, lo sforzo di fare quadrato contro una minaccia che, pur nelle diverse declinazioni, appare senza dubbio unitaria. Fatto questo di cui tenere conto ancor più fortemente oggi, con la crisi politica in atto. E’ fatto notorio come sia proprio in questi momenti che i poteri criminali e mafiosi provano a insinuarsi nei gangli dell’economia e della stessa politica.
Veniamo ora ad analizzare il corposo documento estrapolando le parti che riguardano maggiormente da vicino San Marino.
Criminalità organizzata siciliana
Nel territorio di San Marino è stata, nel tempo, tracciata l’operatività dei seguenti gruppi criminali siciliani:
– clan Fidanzati;
– Stiddari;
– altri gruppi palermitani e trapanesi, in particolare di Mazzara del Vallo. Emblematico, in proposito, il sequestro di beni per oltre 450 milioni di euro operato nel 2014 dalla Dia di Palermo e Trapani, nei confronti di un soggetto palermitano, la cui ascesa imprenditoriale era da riconnettere all’appoggio delle famiglie mafiose di Mazzara del Vallo. Tra le società sequestrate, alcune immobiliari erano state costituite a San Marino.
Criminalità organizzata calabrese
Diverse attività di polizia giudiziaria, in ultimo l’Operazione “Aemilia”, hanno evidenziato come anche la ‘ndrangheta sia stata operativa, nel tempo, nella Repubblica di San Marino.
I gruppi criminali calabresi tracciati sono:
Mancuso;
Arena;
Giovinazzo;
Pensabene;
Grande – Aracri.
Criminalità organizzata campana
Con riferimento a questo territorio, è stata, in passato, accertata l’operatività del clan dei Casalesi, attivi nel reinvestire i capitali illeciti. Altri gruppi criminali campani tracciati, nel tempo, nella Repubblica del Titano sono: Vallefuoco; Marinello; Stolder; Sacco/Biocchetti/Cesarano; Schiavone; Di Lauro; Mazzarella e Zaza.
Criminalità organizzata pugliese e lucana
Nella Repubblica del Titano è stata tracciata, negli anni, l’operatività di gruppi criminali baresi e foggiani.
Conclusioni
Attraverso il documento della Dia si possono tracciare conclusioni generali che valgono anche per il Titano e che rappresentano indirettamente una sorta di apprezzamento per il lavoro sin qui portato avanti dalla nostra magistratura, che utilizzando un metodo simile a quello dei professionisti italiani dell’Antimafia sta ottenendo risultati enormi soprattutto per quanto riguarda il sequestro di capitali. Soldi che, lo si ricorda, ritornano a disposizione dei legittimi proprietari, ovvero i sammarinesi. Il ragionamento sin qui condotto pone in evidenza la forte propensione delle organizzazioni mafiose ad operare oltre le Regioni di origine, avendo preso coscienza che l’ambiente su cui applicare il “protocollo di infiltrazione mafiosa” non è tanto” geografico”, quanto sociale e conseguentemente economico. Questo impone – si legge nella relazione della Dia – che le linee evolutive delle mafie vengano colte su più dimensioni, con il profilo legato alla descrizione delle dinamiche dei territori d’elezione che rimane sempre attuale, non tanto perché soggetto a mutamenti tali da vedere significativamente alterati, nell’arco di un semestre, gli storici assetti criminali, quanto perché rappresenta il modulo di base su cui idealmente calcolare la capacità di espansione delle organizzazioni, questa sì in rapido mutamento. Occorre allora indagare con attenzione quali sono i fattori che ne stanno alimentando l’espansione, quali quelli che possono ulteriormente provocarne l’infiltrazione e il radicamento e quali, infine, quelli che potrebbero favorire la rigenerazione delle fila delle organizzazioni criminali. Il tutto, per poi meglio calibrare un’adeguata strategia di contrasto.
Internet e le mafie
Ad oggi, è un dato di fatto che la crescita dei volumi dei traffici illegali – si pensi a quello delle sostanze stupefacenti, ma anche a quello delle scommesse on line – procede di pari passo con l’internazionalizzazione dei processi economici e finanziari, dai quali vengono mutuati i circuiti e le strategie di affermazione su mercati non ancora saturi. Il rinvio al traffico di droga e a quello delle scommesse via web non è casuale. Si tratta di due settori che nel corso del semestre sembrano essersi definitivamente affrancati da quella logica di una frammentazione verticale degli interessi, in cui ciascuna mafia domina in maniera esclusiva un proprio business criminale. Le evidenze investigative rimandano, infatti, a forme di aggregazione e collaborazione sempre più strutturate tra le diverse organizzazioni mafiose, specie nei casi di attività avviate fuori dalle storiche aree di insediamento. Questo perché, appunto, le mire espansionistiche delle mafie ricadono non tanto sui territori, quanto sui mercati o su nuovi settori economici, la cui estensione è per definizione trasversale e la cui complessità richiede l’integrazione di competenze diversificate, in grado anche di operare sul web, che a livello globale offre infinite opportunità criminali. Proprio il web e i canali di comunicazione non convenzionali, anche tramite apparati satellitari, meritano una riflessione a se stante perché, oltre che per la pianificazione e realizzazione di traffici illeciti transnazionali, potrebbero rappresentare lo strumento relazionale chiave tra diverse organizzazioni criminali, anche di matrice straniera, operanti su contesti territoriali diversi. Proprio Tribuna ha dedicato diversi approfondimenti circa il canale delle scommesse on-line. Ora anche la Dia punta il dito, indicando chiaramente come l’attività di indagine debba spostarsi verso il web.
La corruzione
Sempre analizzando il documento dell’Antimafia, si possono cogliere quelle dinamiche che potrebbero ulteriormente provocare l’infiltrazione mafiosa, se non addirittura il radicamento. In primo luogo, la sottovalutazione del fenomeno. In secondo luogo la corruzione, punto questo – guarda caso – sul quale stanno battendo fortissimo sia dal Tribunale, che dalla Segreteria alla giustizia. La corruzione – spiegano i professionista dell’Antimafia – è un fenomeno di per sé gravissimo e in grado di creare l’humus ideale per far permeare la mafia: la corruzione diventa essa stessa reato spia di un meccanismo perverso, la cui unica finalità è quella di infiltrare e condizionare i processi della Pubblica Amministrazione. In Italia diverse operazioni di polizia confermano, infatti, anche nel periodo in esame, come la corruzione sia stata funzionale al perseguimento di affari illeciti di ampia portata, quali il riciclaggio di denaro, l’acquisizione illecita di finanziamenti e l’accesso a notizie riservate utili per l’aggiudicazione delle gare di appalto. Proprio il settore degli appalti pubblici e, più in generale, la tendenza a condizionare il buon andamento della Pubblica Amministrazione, continuano, ad esempio, a rappresentare un forte centro di interessi per cosa nostra, in quanto utili non solo ad intercettare fondi e a mantenere produttive le imprese infiltrate, ma anche a monopolizzare interi comparti dell’economia: cordate di imprese mafiose fanno “cartello”, avanzando offerte “pilotate” per aggiudicarsi le gare, con la conseguente penalizzazione dei concorrenti che, non potendo accedere alle commesse pubbliche, vengono progressivamente estromessi dal mercato. Lo stesso sistema denunciato dai magistrati del Titano con le indagini sul “Conto Mazzini”. La corruzione, endemica nelle azioni delle organizzazioni mafiose, potrebbe inoltre risultare funzionale alla più ampia strategia di un silente condizionamento degli apparati burocratico – amministrativi ed economici anche di altri Paesi. Come si dice in questi casi: prendere appunti.
L’analisi della Fondazione Caponnetto
Più volte nel documento viene citato il lavoro di osservazione e di analisi portato avanti dalla Fondazione Caponnetto. Ecco allora il commento a Tribuna del suo Presidente, Salvatore Calleri: “Quest’anno il report semestrale della Dia a differenza dei report precedenti tra le infiltrazioni presenti nei paesi esteri da parte della criminalità italiana dedica un paragrafo a San Marino. I gruppi presenti sono gli stessi che la Fondazione Caponnetto da anni menziona nel proprio report dedicato. Questo fatto dimostra che quanto diciamo da tempo che sta avvenendo nel territorio del Titano trova conferma oggi in quanto lo dice la Dia. Avevamo ragione e lo dico con orgoglio visto i tanti sostenitori del nostro lavoro e visti i tanti detrattori. Colgo l’occasione anche per auspicare che la crisi politica oggi esistente trovi presto una soluzione in quanto i vuoti di potere potrebbero inficiare il buon lavoro svolto fino ad oggi dalle varie istituzioni del Titano”.
La Tribuna