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  • San Marino. La guerra in Ucraina diventa globale e si trasforma nella battaglia del pane: è la terza guerra di Putin … di Alberto Forcellini

    Finora abbiamo riservato la nostra attenzione alle bombe, ai missili, ai carrarmati e alle stragi di civili. Da qualche giorno, non si fa altro che parlare dei “danni collaterali” di questa guerra assurda e tra questi, in cima alla lista, il venir meno delle forniture di grano. La Russia ne fa una questione speculativa e di ricatto. Per l’Ucraina invece è ormai tempo di raccolto nei campi che non sono stati bombardati, ma non si sa dove mettere la mietitura perché silos e magazzini sono strapieni. Tutti i porti sono chiusi e le navi container bloccate, a loro volta a pieno carico, che deve essere consegnato agli Stati importatori in Africa e Medio Oriente. Le autorità di Kiev stimano che circa 20-25 milioni di tonnellate di cereali sono bloccate.

    Intanto, ci sono popoli che rischiano di morire di fame. Anzi, mezzo mondo è a rischio. Il blocco di due grandi produttori agricoli rende il cibo scarso e troppo costoso. Ci sono 400 milioni di persone a rischio fame e pronte a migrare.

    Grano bruciato, rubato e sequestrato: la terza guerra di Putin. Dopo il gas, anche il grano è diventata ormai un’arma nel variegato arsenale a disposizione del capo del Cremlino per condurre la sua guerra economica, parallela a quella militare, mossa all’Europa in risposta alle sanzioni decise dall’Occidente. Ma non è novità nel corso della storia.

    C’è la guerra del pane mirabilmente raccontata da Manzoni nel capitolo 12 dei “Promessi sposi”. Anche qui, penuria di materie prime, prezzi altissimi e scelte politiche sbagliate. Il giudizio di Manzoni è molto severo, coerentemente a tutta la dottrina giansenista di cui è instancabile sostenitore. Infatti rivolge il suo sguardo critico alle masse popolari, il cui intervento nella politica è solo causa di disastri: sono accecate dall’odio e, alla ricerca di un capro espiatorio, additano i fornai come colpevoli, ma non è lì la causa. Non manca neanche un giudizio negativo verso i singoli, in particolar modo verso Gonzalo Fernandez de Cordova che, occupato nella guerra, si è fatto sostituire dall’inetto cancelliere Antonio Ferrer, incapace di prendere decisioni giuste, ma impopolari.

    Come dimenticare la battaglia del pane da cui scaturì la “Rivoluzione arancione” nei paesi del Magreb? Era il 2011, i prezzi dei prodotti alimentari stavano crescendo da oltre 11 mesi consecutivi. Per milioni di persone significava la differenza tra la vita e la morte. Sulla spinta delle proteste, uno dopo l’altro crollarono i regimi del Nord Africa, stabili da decenni. Come sempre, la storia si impone con i suoi modi e i suoi tempi, cogliendo di sorpresa chi si ostina a misurare il presente con il metro della conservazione dello stato di cose esistente. Come sappiamo, quella rivoluzione ebbe ben pochi, anzi quasi nulli, risultati apprezzabili.

    Torniamo ai giorni nostri. Dopo la guerra del petrolio e del gas si aggiunge dunque la guerra del pane, che avrà conseguenze globali e che allunga l’ombra del conflitto ucraino al teatro del Bosforo. È l’ultima forma di uno scontro geopolitico che non interessa solo il destino dell’Ucraina ma riguarda anche la sicurezza alimentare dei paesi del Mediterraneo e Nord Africa, già messa a dura prova dalla pandemia, da mesi di siccità e da prezzi schizzati alle stelle.

    Russia e Ucraina detengono insieme un terzo circa del commercio globale di grano. I paesi mediterranei e africani, fra cui attori strategicamente rilevanti per l’Italia come Libia ed Egitto, coprono con le importazioni da Kiev il 75% del loro fabbisogno alimentare. Non ci sono molte alternative in una fase in cui grandi produttori agricoli, come l’India, riducono le esportazioni per fare fronte ai problemi di raccolto legati a fattori climatici. È una tempesta perfetta. Che prepara un’emergenza alimentare globale. La fame aumenterà per decine di milioni di persone, fino a cifre shock sui livelli di denutrizione.
    Per la Russia, colpire il “granaio del mondo”, cioè l’Ucraina, significa distruggerne le risorse e il morale: a Kiev si comincia a rievocare la grande carestia provocata dalle politiche di Stalin negli anni Trenta del Novecento. Ma usando il grano come un’arma del suo disegno neo-imperiale, la Russia si assume anche la responsabilità collaterale di accentuare la crisi alimentare già in atto a Sud dell’Europa. Gli effetti non tarderanno a farsi sentire anche nei nostri Paesi.

    Intanto il G7 tenta di scongiurare questo terribile scenario e presenta i suoi piani per sbloccare il porto Odessa. Ieri, la Russia ha annunciato l’intenzione di sbloccare i porti e aprire un corridoio marittimo per fare partire le navi. Ma è molto difficile crederle sulla parola.

    a/f

    Foto: SERGEI ILNITSKY  ANSA