Fa piacere sapere che il Congresso di Stato ha scelto il nome dell’oratore ufficiale della cerimonia di insediamento del prossimo primo aprile e che quell’oratore sarà Paolo Mieli. Per la cerimonia simbolo di San Marino avremo così ancora un nome altisonante, un uomo con vocazione all’indipendenza e alla libertà, valori molto affini a quelli della Repubblica. E un indiscusso maestro del nostro giornalismo abituato a fare i conti con la storia, non soltanto con quella degli altri ma anche con la propria. Il rapporto con la Repubblica poi negli anni si è sempre più rafforzato da quando nel maggio 2014 Mieli rilasciò una importante intervista. All’epoca fu il giornalista David Oddone (nella foto con Mieli, ndr) a chiedere a Paolo Mieli di provare a fare i conti con la Storia di San Marino che da Direttore del Corriere della Sera (dal 2004 al 2009) contribuì a scrivere. Riportiamo parte di quell’intervista che ha rappresentato uno spartiacque ed un evento poi scolpito nella storia recente del Monte. Col senno di poi infatti, il primo quotidiano italiano si rende conto che la guerra fatta contro San Marino, quell’accanimento, non aveva senso.
Lei è stato Direttore del Corsera nel momento più difficile per la storia di San Marino. Quello degli arresti, delle prime pagine, delle inchieste. Un periodo storico in cui non passava giorno in cui non si tirasse in ballo, in negativo, il Titano. Tanto che in molti hanno avuto l’impressione che quel gioco al massacro fosse vero e proprio accanimento fine a stesso. Sono passati alcuni anni: vuole fare anche lei i conti con la storia?
“L’impressione è giustificata. Non ci fu dolo da parte dell’informazione, ma noi che cosa sapevamo? Sapevamo che il ministro di allora, Giulio Tremonti, che peraltro era stato consulente fiscale di San Marino, denunciava cose che ben conosceva, meccanismi e trucchi che potevano essere usati per evadere le tasse. Quello su cui mi sento di fare autocritica è che nell’affermare questo principio di per sé giusto – quello della lotta ai paradisi fiscali – noi come stampa non abbiamo tenuto conto di alcuni elementi. In primis il fatto di aver denunciato un problema senza fornire però alcuna soluzione. La libera stampa nel momento stesso in cui denuncia deve essere consapevole del proprio ruolo di proporre anche soluzioni. Non dunque distruggere ma restaurare, ricostruire in modo migliore. Se non ricordo male un quinto o un sesto delle aziende con cittadinanza a San Marino saltarono per aria. Creammo dunque un danno terribile a San Marino, ma in fondo anche a noi stessi. Tutto, per non avere impostato allora, dei principi impostabili.
Tant’è che tre mesi fa in modo fluido e senza fare delle rivoluzioni copernicane quel problema è stato risolto (con l’uscita dalla black list, ndr). E io oggi penso che potesse essere risolto già allora. Penso che quelle misure messe in campo dall’Italia dovevano contenere anche una soluzione e che non era opportuno inserire San Marino nella black list, ma che si dovesse piuttosto far passare il messaggio che se la Repubblica non avesse cominciato a rispettare determinate regole, sarebbe stata inserita in questa lista. Si dovevano dare a San Marino sei mesi di tempo, nove mesi di tempo, per adeguarsi. San Marino si sarebbe adeguata e non sarebbe accaduto quello che poi è successo.
Ciò che dico oltre a essere una autocritica, vuole essere anche un messaggio perché è come vorrei che fosse intesa la stampa, la sua essenza. La stampa non può essere solo un elemento di distruzione, utilizzata per fare saltare per aria le aziende, farle chiudere”.
Perché la lentezza con cui si costruisce un successo economico, non è mai pari alla velocità con cui lo si può distruggere ed alla lentezza con cui si avrà l’opportunità di riedificarlo.
Se io costruisco una casa, ci metto un anno a costruirla, poi do un colpo di ariete, questa casa si distrugge in un secondo. A costruire nuovamente ci metterò un anno ed è difficile che la costruzione sia piena come lo era in precedenza. Dunque prima di distruggere bisognava dare il tempo alle Istituzioni di mettersi in regola. Formalmente, allora, a San Marino fu dato questo termine temporale, ma solo formalmente.
Fu dato un tempo ma non era stata individuata una soluzione fattibile in quel lasso temporale.
Bisognava non solo dare una scadenza, ma dire che cosa si doveva fare e dare il tempo di fare quella cosa che veniva imposta. Che da parte di San Marino le intenzioni fossero buone poi, lo dimostra il fatto che sebbene in quattro anni, le cose da fare sono poi state effettivamente fatte. E quindi se tutto fosse stato impostato dall’Italia sapientemente e in maniera non punitiva nei confronti di San Marino, io credo che il risultato si sarebbe potuto tranquillamente raggiungere in sei mesi. Bastava avere avuto le idee chiare allora. In definitiva penso dunque che formalmente sia la stampa che lo Stato italiano si siano comportati in maniera ineccepibile, ma nei fatti abbiano fatto un grave torto a San Marino, perché non si doveva creare un danno all’economia, non solo sammarinese ma anche italiana: non si deve mai distruggere la ricchezza a vanvera. A distruggere sono capaci tutti, a ricostruire invece poi ci vogliono gli anni”.
Qual è oggi l’immagine che avete di San Marino?
“San Marino è stato un Paese con relativa stabilità politica negli anni in cui l’Italia ha attraversato un continuo tornado. Oggi San Marino è entrata nella white list, un risultato che dimostra che cosa è davvero questo Paese: un popolo, un gruppo di dirigenti consapevoli, di gente che sa fare il proprio mestiere. In questo anno 2014 posso dire che l’immagine di San Marino non è mai stata così luminosa. Oggi ha un’ ottima immagine per l’economia anche se penso che l’accaduto non sarà sanato in tempi rapidi. Penso che non si tornerà mai al passato, le centinaia di aziende chiuse pesano e rimane l’autocritica fatta poc’anzi sul danno procurato. Col senno di poi sarebbe forse stata meglio un po’ meno luminosità, accompagnata da una migliore situazione produttiva”.
Secondo lei Tremonti non si è fatto Pubblicità sulla pelle di San Marino?
“Tremonti era anticamente anche un collaboratore del Corriere della Sera. Penso che Tremonti proprio perché era stato consulente di San Marino, forse temeva di essere additato come troppo buono nei suoi confronti e accusato di usare due pesi e due misure: nella migliore delle ipotesi si può avanzare questa idea. Io come già detto, avrei accompagnato un provvedimento che indicava la via di uscita. Faccio un esempio: se io mi accorgo di qualcuno che non ha pagato delle tasse perché non sapeva che si dovevano pagare, devo dare innanzitutto la presunzione di innocenza, e in secondo luogo devo offrire l’opportunità di mettersi in regola e dimostrare la propria buona fede. Se io rovino invece questa persona, faccio una cosa che non va bene, seppure nel nome della giustizia. Detto questo non mi piace criticare gli altri, semmai critico me stesso. Critico la stampa per essere andata dietro al governo e aver scritto, andando un po’ troppo per le spicce, che tutto quanto fatto contro San Marino andava fatto punto e basta. Il rimprovero che faccio a me stesso come Direttore e non a Tremonti, è di non essermi posto il problema che i sammarinesi posero, ovvero quello di indicare una via di uscita, perché si stava facendo un danno enorme. E di non avere prodotto neanche dieci righe per un’ idea su come uscire da quella situazione che avrebbe evitato il colpo di pistola all’economia sammarinese”.
Fu una lunga intervista che vale la pena rileggere ma che forse andava riletta prima perché quel che non si è riusciti a fare fino in fondo dall’esterno lo si è fatto nell’ultimo anno dall’interno.
Repubblica Sm