San Marino. La libertà di stampa e “l’etica del limite” … di Alberto Forcellini

Qualcuno l’ha chiamata bagarre, qualcuno show. Sta di fatto che il comma comunicazioni, slittato dopo la presentazione del bilancio, al di fuori di ogni previsione è esploso ieri mattina sull’onda di una commissione sanità, convocata in seduta segreta la sera precedente.

I contenuti di quanto è stato detto in quella sede, proprio perché di natura riservata, ovviamente non sono stati riportati in Consiglio, perché il dibattito politico non avrebbe dovuto trasformarsi in un processo di piazza, ma comunque è diventato la scintilla per un esame dei rapporti politici. Soprattutto quelli interni alla maggioranza, che secondo Nicola Renzi “sta dimostrando di non essere più in grado di reggere alla pressione politica”. Insomma, una macchina in panne, che impedisce perfino la libertà di parola. Di qui, alla libertà di stampa il passo è stato brevissimo, anche alla luce delle recenti dimissioni dell’Authority per l’editoria e per altre vicende sempre in questo settore. Senza mezzi termini, Giuseppe Maria Morganti ha denunciato un clima di regime.

Non stiamo a ripercorre fatti che sono stati ampiamente riportati dalla cronaca. Noi che molto modestamente ci avventuriamo in qualche considerazione sui fatti, che ascoltiamo tutto quello che accade nel mondo della politica, che leggiamo tutti i giornali, più volte abbiamo notato che i giornali fanno poco giornalismo e molta politica. Il che è diventato normale perché ogni testata ha un editore (che è quello che paga) al quale deve rispondere, per cui lo stesso episodio a volte viene riportato con coloriture molto diverse. Ora, se è vero che la libertà di stampa e la libertà di opinione, sono sacre ed inviolabili, ciò non giustifica il poter dire ciò che si vuole, innescare processi mediatici perché fanno comodo all’editore, o denigrare le persone che per qualche motivo danno fastidio. Soprattutto non c’è la libertà di raccontare bugie o cose inventate di sana pianta, tanto per fare un titolo.  Come dice il professor Canzio: “Oltre la professionalità ci vuole l’etica del limite”.

I confini sono molto labili. Le opinioni si basano sulle interpretazioni personali, sulla percezione dei fatti, sulla sensibilità, il livello culturale, l’autorevolezza e la credibilità di chi le esprime. Non necessariamente si possono collocare come verità assoluta. Dissentire da quelle opinioni è un’altra forma di libertà. Ma se per dovere deontologico professionale si ha l’obiettivo di “informare” e non scambiare la penna come uno scettro, forse certe scivolate si potrebbero evitare.

Ci si perdoni se pensiamo che il livello generale sia piuttosto basso, anche quando si sente qualche politico che si straccia la camicia perché non sarebbe tutelata la libertà di stampa. Purtroppo stiamo vivendo un’epoca in cui stanno venendo al pettine tutti i nodi di un sistema che cerca di mutare pelle e che fa molta fatica ad uscire dalle logiche che hanno prosperato negli ultimi trent’anni, se fosse vero, come appare, che c’è ancora gente che “vuole fare le fatture”.

Un sistema che oggi tutti dicono, a parole, di condannare. Eppure se ha prosperato così tanto tempo senza inceppi è perché erano tutti coinvolti: politica, tribunale, ufficio tributario, banche, organi di controllo, professionisti di ogni genere, consulenti, faccendieri, parassiti, approfittatori, codardi. Ciascuna parte ne ricavava un suo profitto, che ricambiava nella scheda elettorale. E tutti stavano bene.

Il sistema si è inceppato non tanto e non solo per lo stop messo dalla comunità internazionale, quanto piuttosto per la lotta tra bande che si scannavano per arrivare a quel potere che permetteva di fare tutto. O quasi. Il massimo del degrado si è avuto nella passata legislatura, quando perfino le onorate istituzioni repubblicane sono state piegate e svilite da interessi che hanno uno strascico di debiti infiniti e di problemi a cui oggi è molto difficile porre rimedio.

Però non se ne può parlare. Basta guardare nello specchietto retrovisore. Se si guarda indietro non si va avanti. Forse è anche vero, però si continua a parlare del processo Mazzini con tanta insistenza che si ha l’impressione che sia solo uno specchietto per le allodole. Si continua a parlare di Gatti, Podeschi e Stolfi, ma non si parla mai (o quasi mai) di Celli, Buriani e tutti i loro sodali, nonostante le rivelazioni della commissione d’inchiesta su banca CIS.

E allora viene da chiedersi, quel sistema che tutti hanno condannato (a parole) è davvero finito? O c’è ancora chi rimesta nell’ombra? E ha bisogno di certa stampa per cercare di distruggere chi tenta di pulire sotto i tappeti?

Riguardo alla sanità, con cui abbiamo cominciato queste riflessioni, avremo modo di tornare un’altra volta.

a/f