San Marino. La mafia uccide, il silenzio pure – “Qui gatto… ci cova” la rubrica di David Oddone

Ho sentito in questi giorni l’amico Salvatore Calleri, già assessore della Regione Sicilia e Presidente della Fondazione Caponnetto. Volevo il suo parere su un mio articolo in fase di ultimazione che uscirà prossimamente sulla stampa internazionale. Fra le altre cose è emerso quanto sia pericoloso chiamare mafia quello che mafia non è. Errore insidioso nel quale incorrere perché, come ci tiene a spiegare lo stesso Calleri, un conto è la mafia, un’altra cosa è la mentalità mafiosa, che sfortunatamente è sempre più diffusa. Non dovrebbe allora stupire più di tanto un fatto di cronaca accaduto a Rimini. Si tratta dell’ennesimo caso di violenza contro le donne. L’aggravante, se può esserci qualcosa di più grave di picchiare una donna per gelosia, è che l’ex di turno, andava vantandosi di essere figlio di un camorrista e dunque avrebbe potuto attingere a cotanta “grazia” per mettere lei e il suo cane nell’acido. Che il “signore” in questione sia parente di camorristi è probabilmente vero: solo questo genere di immondizia se la prende solitamente con donne e animali. Ma oltre alle minacce che fanno accapponare la pelle, ciò che fa ancora più inorridire, se possibile, è la mentalità di chi crede che spacciandosi per “camorrista” possa vedere i propri desideri realizzati. Sempre più frequentemente infatti assistiamo a chi vorrebbe esportare un particolare modello criminale qui dalle nostre parti. Il mafioso, in quanto tale, dovrebbe instillare nell’interlocutore un timore reverenziale capace di fargli fare qualsiasi cosa. E’ il genere di atteggiamento alla base delle richieste di pizzo e protezione in alcune zone del sud Italia. Ecco che scatta così la vanteria di essere parente di mafiosi, quasi fosse qualcosa di cui andare fieri, pensando in siffatta maniera di avere il controllo sugli altri e perché no, magari essere pure rispettati. Questa gente, o meglio tale feccia, deve mettersi invece in testa che non fa paura a nessuno. E farebbe bene, se davvero ha famigliari mafiosi, a camminare a testa bassa, a vergognarsi, a non raccontarlo in giro. Perché non comprendiamo quale “onore” possa esserci nel minacciare una donna indifesa e un cagnolino. Ho voluto raccontare oggi questa vicenda soprattutto per i più giovani, perché comprendano che la mentalità mafiosa non è mafia, ma gli può spalancare pericolosamente le porte. Il che significa che non ci si può e non ci si deve piegare verso chi minaccia e utilizza la violenza per intimidire l’altro: bisogna denunciare immediatamente, ribellarsi e rivolgersi alle autorità. Lo diceva il collega Peppino Impastato: “La mafia uccide, il silenzio pure”.

David Oddone

Rubrica “Qui gatto… ci cova”