Il peggio sembra ormai alle spalle, ma la pandemia non è stata debellata. “Abbiamo salvato vite e siamo tornati a una vita normale, ma come ben sappiamo la pandemia non è finita” conferma il premier Mario Draghi in un videomessaggio al Second Global Covid-19 Summit, ringraziando Biden e gli altri organizzatori. Sia in Italia che in altri Paesi, spiega, sono state eliminate “le restrizioni, riaperte le scuole e rilanciata l’economia”.
San Marino è su questa scia, anche la mascherina ormai è solo “consigliata” nei luoghi chiusi e in caso di assembramento. Solo in ospedale e nei centri sanitari è obbligatoria. Si pensa al mare, alle vacanze e a tutte quelle occasioni conviviali a cui si è rinunciato per due anni.
Ma è davvero finita? Assolutamente no, come dimostrano i contagi attivi che continuano a superare le 200 unità giornaliere. Qualcuno sbotta: tre vaccini e mi sono contagiato. Vero: i vaccini ci hanno salvato nelle fasi più acute della pandemia, ma hanno un’efficacia temporale limitata, che non ci immunizza contro le varianti, sempre più deboli riguardo all’aggressività, ma sempre più contagiose.
Ecco perché l’emergenza, al di là delle sbrigative illusioni del “cessato pericolo”, non è affatto terminata. Certo, nelle ultime settimane tutti i parametri epidemiologici si sono significativamente ridotti: numero di contagi, ricoveri in area medica e terapia intensiva, decessi. La buona stagione aiuterà ulteriormente a ridurre ogni tipologia di malattia respiratoria. Ma dobbiamo pensare all’autunno.
Ormai è necessario accettare l’idea che SARS-CoV-2, il perfido coronato, resterà per lungo tempo, o anche per sempre, con noi. Sarà endemico, come uno dei tanti virus respiratori. Lo terremo a bada con vaccini annuali e, se è il caso, con antivirali, come per l’influenza, fermo restando un tutto sommato accettabile pedaggio di ospedalizzazioni e decessi di soggetti oltremodo fragili. Questa sarà, affermano gli esperti, la nuova normalità della nostra vita. Ma ci siamo già, oggi, in questa normalità? Quale potrà essere il suo normale scenario nel prossimo autunno-inverno, in presenza di Omicron, la famiglia delle ultime super-mutevoli e diffusive varianti sudafricane del virus?
Dal ceppo ancestrale rilevato nella città cinese di Wuhan, alla variante Delta, la trasmissibilità del virus, quindi la sua effettiva diffusione nella popolazione, è aumentata di circa il 100%. Con Omicron questo valore è aumentato del 400% raggiungendo una capacità di contagio mai vista in altre infezioni umane. Attraverso le ormai numerose e ben note mutazioni della proteina Spike, Omicron è in grado di evitare ampiamente la neutralizzazione da parte degli anticorpi, quindi infettare anche persone perfettamente vaccinate e reinfettare quanti hanno superato la malattia.
Si pone quindi il rebus della quarta dose: sarà un booster, cioè un semplice richiamo, o avremo un altro vaccino?
Tutti i dati della letteratura scientifica in possesso fino a questo momento confermano che la risposta anticorpale alla quarta dose si eleva ma rimane tale per troppo breve tempo, massimo due mesi, per bloccare consistentemente l’infezione virale e di conseguenza la circolazione del virus nella popolazione. In parecchi si lamentano della finora scarsa adesione alla quarta dose da parte dei soggetti fragili, ma ormai tutti sanno che anche quella dose non li proteggerà a lungo da una reinfezione. La ricerca scientifica sta comunque facendo passi da gigante e dopo l’estate sicuramente si saprà con più precisione quale sarà l’antidoto più appropriato.
La politica dei contagi zero, praticata dalla Cina con lockdown severissimi, non è sostenibile. Il virus trova sempre un’uscita da qualche parte. Meglio cercare una “pacifica convivenza”. Del resto, non è più un ospite sconosciuto, come due anni fa, quando la medicina si è trovata a fronteggiare una battaglia senza armi. Oggi il virus è conosciutissimo e le sue varianti sono quasi prevedibili. Le armi sono sempre più raffinate ed efficaci. Dobbiamo solo avere fiducia nella scienza.
L’International science council – l’organizzazione che riunisce oltre 200 associazioni scientifiche nazionali e internazionali – ha stilato un documento che delinea i possibili scenari pandemici da qui al 2027, condizionati da varie incognite come la vaccinazione nei Paesi più poveri e i conflitti internazionali.
Il primo scenario, nonché il più ottimistico, ipotizza che nei prossimi anni la percentuale di persone completamente vaccinate contro il Covid-19 aumenti a livello globale da circa il 61% a oltre l’80%: in questo caso potrebbero essere salvate molte vite umane e potrebbe essere ridotto il rischio di nuove varianti. Il coronavirus non scomparirebbe, ma diventerebbe più gestibile, con notevoli benefici per la salute mentale dei cittadini, l’economia e lo sviluppo sostenibile.
Poi ci sono le incognite: l’accessibilità dei vaccini, la guerra, le spinte nazionalistiche di Paesi a cui non interessa la solidarietà internazionale. E allora la storia potrebbe essere diversa.
a/f