San Marino. “La partita è ancora, sempre, aperta. Per l’educazione”….di don Gabriele Mangiarotti

La questione educativa ci riguarda tutti, qualunque sia la nostra condizione e la nostra età. E credo che il riflettere su questi temi non sia né accademia, né occupazione opzionale: quanto è davanti ai nostri occhi è domanda che chiede risposta. Ed è domanda che deve metterci in questione, sia per le responsabilità pregresse sia per la consapevolezza che il futuro dipende anche da noi.

Ho avuto modo di partecipare a un interessante dibattito in TV a San Marino, e la conclusione è stata proprio che non si può «concludere» e che bisogna cercare confronti e testimonianze per continuare nel cammino, e per impedire che forze oscure si impossessino della nostra vita e in particolare dei nostri giovani.

Insieme al Coordinamento delle Aggregazioni laicali abbiamo proposto, per il 19 marzo, un incontro con Francesca Romana Poleggi, autrice di un interessante studio sulla educazione, sulla famiglia, sui problemi connessi alla educazione dei giovani. E credo che, dopo che è stata posta all’OdG del Consiglio l’Istanza d’Arengo per chiedere regole sull’uso di smartphone e social da parte dei minori, Istanza che ora attende un intervento legislativo, sia necessario tenere alto l’interesse, e soprattutto non illudersi che basti una regolamentazione per risolvere il problema. Diceva don Bosco che l’educazione è una questione del cuore, di quel cuore che ha la passione e l’urgenza di fare crescere uomini e donne con una autentica personalità.

Leggevo in questi giorni una bella riflessione di Antonio Socci: «Il malessere giovanile è un tema scottante. Ne ha scritto anche Walter Veltroni in un editoriale del Corriere della sera. A sorpresa – cercando le cause di questo disagio – ha puntato il dito sul Covid e soprattutto sulla sua gestione: confinamento, mascherine, scuola a distanza”. In pratica il lockdown.

Gli adolescenti, dice, ne sono usciti male. Lo provano i dati sulle alte percentuali di giovani con sintomi di ansia o depressione… Bisogna anche essere obiettivi: siamo proprio sicuri che il lockdown sia l’esperienza più devastante che può capitare a una generazione? A me pare che a tutte le generazioni precedenti sia andata molto peggio… A cosa è dovuta quella fragilità? La generazione dei nostri padri, pur con tanti limiti, era cresciuta in un terreno sì povero di soldi, ma ricco di forti valori. Esattamente quei valori che dopo il ’68 abbiamo buttato al macero e che da decenni deprezziamo: famiglia, doveri, spirito di sacrificio, religione (anche chi non andava più in chiesa era intriso di valori cristiani). Questo plasmava un’umanità capace di affrontare le forti intemperie della vita.

Dopo la rivoluzione politica e sessuale del ’68 ci siamo liberati di quei valori oscurantisti. Benissimo. Così emancipati dovevamo diventare finalmente tutti più felici. Era questa la promessa. Ma allora perché oggi ci troviamo con una generazione di giovani, certamente disinibiti, laici e politicamente corretti, ma anche così feriti, fragili e infelici? Eppure è la società in cui si rivendicano tutti i diritti e nessuno parla di doveri e responsabilità. Cos’è andato storto?

Si può ipotizzare che la fragilità, il disorientamento e l’ansia di questa generazione siano anche la conseguenza di quella cultura che credevamo portatrice di felicità?

Certo la storia non torna indietro, né lo si auspica. Ma s’impone una domanda ai padri e alle madri, alla nostra generazione cresciuta con il ’68: che clima educativo abbiamo creato? Quale senso della vita trasmettiamo ai nostri figli?

E’ una domanda che investe anche la scuola…»

Questa situazione deve interrogarci, a tutti i livelli. Abbiamo già riportato quanto Francesca Romana Poleggi scrive nel suo libro: «Il malessere delle nuove generazioni è evidente: sono giovani fragili e stressati, bulli (o peggio) e bullizzati, con disturbi dello sviluppo e disagi psicologici, oggi più che mai. E non è colpa della chiusura sociale causata dalla pandemia, perché i dati prima del 2020 erano già preoccupanti. Sarà colpa dei “genitori Peter Pan”? Sarà colpa della scuola?

Sarà perché i ragazzini sono spaventati dall’incertezza del futuro? … Speriamo di invogliare gli educatori a una riflessione più ampia sulla sofferenza delle nuove generazioni, andando oltre i problemi materiali ed economici, che certamente ci sono. Per guardare con gli occhi del cuore, capaci di vedere oltre la realtà oggettiva che è fatta di dati e notizie di cronaca inquietanti. Per guardare dove sta la speranza». [Per amore dei nostri figli]

Sarà questa l’occasione per mettere a tema l’educazione nella nostra Repubblica? E perché ci si ritrovi a costruire quella che, in passato, veniva chiamata «Comunità educante», dove i genitori si associavano in forme di collaborazione capaci di interloquire con la società e con la scuola, dove la partecipazione alla vita della scuola era attiva e responsabile, capace di affrontare (e anche risolvere) i problemi emergenti, e ai giovani erano proposte iniziative educative che, nel tempo libero, ne esaltavano la responsabilità e il desiderio di protagonismo e di verifica personale?

Socci conclude, citando Veltroni: «Qualcuno ascolta i professori delle scuole italiane? Oltre a picchiarli se hanno messo un brutto voto o a insultarli sulle chat, qualcuno chiede agli insegnanti di aiutarci a capire cosa sta accadendo nei comportamenti, nell’umore, nella visione del mondo degli adolescenti italiani?»

Che rinasca il tempo dell’ascolto e del confronto. La partita è ancora, sempre, aperta.

Quando siamo stati a Brussels per la FAFCE, abbiamo incontrato una coppia di amici francesi che hanno pubblicato dei bellissimi e utili libretti per aiutare famiglie, insegnanti e ragazzi ad orientarsi in questo mondo caotico, senza perdersi d’animo. Chi fosse interessato, può richiedermeli.

don Gabriele Mangiarotti

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