C’è un libro, un bel libro fresco di stampa di Hannah Arendt che ha come protagonista la vita interiore di una giovane ebrea. Ebbene essa ad un certo punto scrive che non si dovrebbe mai aver paura d’esser visti.
“Se potessi aprirmi agli uomini come si apre un armadio e, con un gesto, mostrare le cose ben ordinate nei ripiani. Certo ne sarebbero soddisfatti; e, appena viste, le capirebbero anche”.
Andare a guardare dentro alle cose e alle persone e mostrarle ai propri lettori è il compito del giornalista. E’ vero che oggi le persone sanno mostrarsi da sé perché ci sono le vetrine, facebook, gli altri social e i comunicati stampa.
Ma è vero anche che in quelle vetrine si mostra di sé soltanto il lato che si vuol far vedere, spesso il meno autentico.
Ed è altrettanto vero che il cattivo giornalismo fa più o meno la stessa cosa: mette in luce e dà risalto alle realtà distorte, quelle che non esistono. Del resto la ricerca della verità non è mai facile, anche e soprattutto se fatta in buona fede. La verità – scriveva la Fallaci – è un’ipotesi, un’opinione composta di molte verità. Non esiste neanche in matematica dove 2+2 non fa necessariamente 4 e 5+5 fa 10 solo se hai imparato a contare su 10 dita, cioè se ti servi del sistema decimale. Tuttavia quello non è un buon motivo per smettere di cercarla. Chi si rifiuta di rispondere alle domande che gli vengono poste, specie se ha un ruolo politico, ha paura di esser visto e ha qualcosa da tenere nascosto. Mentre invece il dialogo ha un potere meraviglioso, quello di depurare le opinioni dai sentimenti cattivi e dai pregiudizi. Ci si meraviglia sempre quando si parla con qualcuno. E se non ti meravigli di nulla è perché non credi in nulla.
Olga Mattioli (Repubblica.sm)