
SAN MARINO. LA REVOCA DEL MAGISTRATO DIRIGENTE DA PARTE DEL CONSIGLIO GIUDIZIARIO PLENARIO SAREBBE UN ATTO ILLECITO
dell’Avv. Achille Campagna
Letti gli articoli di stampa sulla possibile revoca del Magistrato Dirigente non posso non esprimere la mia forte perplessità di fronte ad una simile ipotesi.
In sostanza qualcuno pensa che il Magistrato Dirigente lo si possa cambiare per capriccio, e che per far questo basterebbe una delibera votata a maggioranza dal Consiglio Giudiziario Plenario.
Evidentemente, chi pensa questo deve giocoforza ritenere che il Consiglio Giudiziario Plenario abbia un potere di revoca speculare a quello di nomina, in pratica è come se il Magistrato Dirigente fosse di sua proprietà: lo nomino io, quindi io lo posso mandare via…
Spero vivamente che non siano quegli stessi giudici, che vi siedono, anche solo a pensare un’eresia del genere, perché ciò denoterebbe un’ignoranza estrema ed estremamente pericolosa della legge.
Il Magistrato Dirigente nella Repubblica di San Marino – a prescindere dalle simpatie che si possono nutrire o meno – deriva la sua legittimazione dalla legge, non da coloro che lo votano: non a caso non è prevista la possibilità di alcuna delibera di revoca.
La legge è quella che prevede non solo ruoli e funzioni ma precisi compiti riservati al Magistrato Dirigente, attribuzioni che non vengono impartite dal Consiglio con una delega. In altre parole il MD non è alla stregua di un Presidente di un Cda o un Amministratore Delegato, ma una figura istituzionale per cui è previsto un meccanismo di nomina ed un termine di durata, non certo una “gestione” della carica da parte di alcun organo.
D’altra parte, pensare che un organo, il Consiglio Giudiziario Plenario, con la metà dei suoi componenti di provenienza politica – i membri della Commissione Giustizia ed il Segretario di Stato – possa decidere le sorti del Magistrato Dirigente post-nomina, è un qualcosa di rivoltante per un costituzionalista moderno, leggasi separazione dei poteri, autonomia ed indipendenza della magistratura.
In Italia il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) non vede la partecipazione della politica se non per la partecipazione del Presidente della Repubblica, che è oltretutto considerata alquanto simbolica, la ragione di questo risiede ovviamente nel rispetto del principio costituzionale di separazione dei poteri.
Ebbene, per proseguire nel confronto, a San Marino abbiamo un Magistrato Dirigente che quantomeno riassume in sé i ruoli che in Italia appartengono ai Presidenti dei Tribunali e delle Corti d’Appello, che vengono nominati dal CSM, pertanto, in caso di “revocabilità”, a subire un condizionamento da parte della politica sarebbe un soggetto istituzionale che nella vicina Italia è invece totalmente isolato da qualsiasi ingerenza.
Il raffronto ci mostra dunque che, mentre il potere di nomina è giustificabile anche se esercitato dai politici, quello di revoca non può esserlo a causa del significato istituzionale del Magistrato Dirigente.
Non solo. Il Magistrato Dirigente, proprio in tale funzione, è giudice naturale dal momento che una Legge del 2013 le ha assegnato il coordinamento delle più importanti indagini penali, a nulla rilevando che possa aver delegato o meno la funzione. In sostanza, rimuovere il Magistrato Dirigente significa mutare il giudice di procedimenti penali pendenti, un abominio rispetto al primo caposaldo della giustizia, il concetto di giudice naturale.
L’unica possibilità che resta di rimuovere il Magistrato Dirigente, anticipatamente rispetto al termine naturale di durata del mandato, è dunque necessariamente quella di farlo esonerare come giudice, non dunque nella sua veste di Dirigente, con l’azione di sindacato di cui all’art.8 della L.Cost. N.144/2003, quindi all’esito di un regolare processo.
Ebbene, anche questa ipotesi è da escludere, se non altro perché il presupposto dell’azione di sindacato è l’aver – in estrema sintesi – commesso fatti gravissimi, e questa via è già stata di fatto rinunciata: a quanto si legge, il Consiglio Giudiziario in seduta Ordinaria, organismo che può proporre l’azione di sindacato, non lo ha fatto ed al suo posto pare aver chiesto di mettere ai voti la questione della revoca nella seduta plenaria.
In pratica è già stato tacitamente riconosciuto che non vi sono basi per fare alcuna azione di sindacato.
Del resto chiunque è in grado di capire che promuovere un’azione di sindacato sulla base di dissapori e personalismi fra giudici è follia allo stato puro.
Tornando all’ipotesi della revoca, considerato a questo punto il nostro assetto istituzionale, soprattutto il fatto che già in principio vi è una forte presenza della componente politica nel sistema giudiziario, con la Commissione Giustizia direttamente integrata in quest’ultimo attraverso la partecipazione al Consiglio Plenario e l’attribuzione di funzioni quali l’avvio di azioni di sindacato con sua delibera, reputo estremamente grave l’adozione di un provvedimento non previsto dalla legge, e che rappresenta una forma d’ingerenza della politica nel potere giudiziario.
Concludendo, salva la libertà, autonomia ed indipendenza dei votanti, esprimere voto favorevole ad una deliberazione di revoca del Magistrato Dirigente, ben sapendo che ciò non rientra nei poteri del Consiglio Giudiziario Plenario, è a mio sommesso avviso già di per sé un atto illecito, semplicemente illegale, con tutte le conseguenze che questo può comportare.
Di certo, l’importanza di un atto è direttamente proporzionale al rispetto dei presupposti di legge per la sua adozione, per cui altrettanto grave ne sarà la loro violazione.
Achille Campagna, Avvocato e Notaio