SAN MARINO. “La Russia non è più parte del Consiglio d’Europa…”di Gerardo Giovagnoli

La foto del giorno è questa: la Russia non è più parte del Consiglio d’Europa, l’unica istituzione europea, anche parlamentare, a vederla coinvolta.
È comunque sia, un giorno triste, con effetti speriamo reversibili rispetto alla presenza di quel paese nel CoE, intanto perché vorrebbe dire che l’aggressione è terminata e che un accordo tra Ucraina e Russia è stato raggiunto.
Per ora non poteva esserci altra soluzione.
Quasi in contemporanea con il voto dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, la Russia stessa ha formalmente richiesto di ritirarsi dalla organizzazione di Strasburgo. Già il 10 marzo Lavrov lo aveva annunciato, senza dare corso alle parole.
Per la seconda volta dopo il 12 dicembre 1969, giorno nel quale fu la Grecia del “regime dei Colonnelli” ad essere espulsa, ora è il più grande paese del mondo ad esserne escluso, a distanza di oltre 50 anni. In quel tempo il Consiglio d’Europa era molto meno strutturato e partecipato rispetto ad oggi: non ne faceva parte San Marino ma nemmeno la Spagna di Franco e il Portogallo del regime dittatoriale dell’ “estado Novo” sconfitto solo 1974 con la rivoluzione dei garofani, chiaramente non ne era parte l’Unione Sovietica e gli altri al di là della cortina di ferro.
Insomma quello era un tempo in cui anche in Europa erano presenti dittature, regimi non democratici. Non c’è dubbio che ad ovest di Kiev, almeno per ora, non ci sono minacce imminenti alla democrazia, la consapevolezza dei popoli e la partecipazione al Consiglio d’Europa ed alla Unione Europea costituiscono dei fondamentali anticorpi alla tentazione di risolvere le controversie con la violenza di stato, la guerra ma nemmeno di avere governi sorretti da singole persone che rimangono al potere per decenni, incancrenendo i meccanismi democratici.
Il leader più longevo dell’Europa occidentale degli ultimi decenni è la Merkel: non viene in mente a nessuno che essa sia stata non dico un dittatore, ma nemmeno un capo autoritario e illiberale. L’anno scorso ha rivinto un socialdemocratico dopo 16 anni e nulla è successo di traumatico. Nemmeno è da segnalare che la Merkel, governando il paese più ricco d’Europa, si sia arricchita per se o abbia alimentato la corruzione e la persecuzione degli avversari.
Così non è in diversi paesi ex sovietici: non lo è in Bielorussia con Lukaš?nka, non lo è in Azerbaijan, non lo è in Kazakhstan, in maniera più importante: non lo è in Russia.
Putin è al potere dall’ultimo giorno del secolo scorso ed è ancora al suo posto. A differenza degli altri paesi citati è paese nucleare (anzi Ucraina, Bielorussia e Kazakhstan gli hanno ceduto le armi), il più grande al mondo, europeo ma non occidentale.
Questo è molto significativo; in paesi definibili democrature, con democrazie che non hanno libertà di espressione, con opposizioni vessate, con leader che stanno al potere fino alla morte, il rischio che il nazionalismo e la belligeranza prendano il sopravvento è molto più alto.
La Russia in questi due decenni aveva già, non pacificamente, trattato con la Georgia nel 2008, in qualche modo anche con la Moldavia con la “controllata” Transnistria, ed infine dal 2014 con l’Ucraina.
L’invasione non è quindi un fatto esorbitante rispetto agli strumenti che la Russia utilizza per portare avanti in suoi interessi, alcuni validi, altri no. Mai lo sono a sufficienza per una invasione armata senza minaccia ragionevolmente simmetrica: non lo è l’avversità alla Russia di parte dell’Ucraina, non lo è la vicinanza vessata di un’altra parte dell’Ucraina, non lo è, più significativamente, l’espansione della NATO, che non sarebbe comunque arrivata a Kiev neanche se gli Ucraini si fossero messi in ginocchio, e che non si allarga dal 2004.
Questo non significa che l’invasione della Russia non trovi responsabilità nel fallimento della diplomazia e questo non può essere attribuito solo a quel paese. L’Occidente non ha giocato molte delle sue carte a disposizione per prevenire la guerra, gli americani hanno deciso da tempo che forse è bene che l’Europa pensi da sola al suo vicinato, cioè, per lo più la Russia (non che la Turchia sia un elemento di stabilità ma ne parliamo un’altra volta).
Questo non significa che non sia affatto bene che ci siano diversi paesi Europei che brindano, direi stolidamente, alla esclusione della Russia come fosse un risultato auspicabile: per quanto il potere del Consiglio d’Europa sia molto limitato rispetto al conflitto in sé e che qui si parli di diritti umani, quindi la guerra è l’esatto loro opposto, non c’è nulla di cui festeggiare e la logica di guerra, in molti parlamentari, anche qua al CoE, prende il sopravvento con la sua portata retorica, in sostanza di odio irragionevole anche verso chi, in Russia, non c’entra nulla.
A quelli dobbiamo guardare: la Russia utilizza il soft power in maniera pessima, si pone sempre in maniera talmente diversa dall’occidente, in maniera muscolare, che risulta ancora più antipatica a molti di quanto non lo debba essere per le violazioni della democrazia che compie il suo regime (per la verità come sappiamo, anche altri paesi europei non brillano per liberalismo e rispetto delle minoranze ma almeno non hanno il nucleare).
Esiste però in Russia chi capisce la differenza tra un paese libero ed uno sotto dominio liberticida e noi dobbiamo usare tutto il nostro “fascino” per fare propaganda positiva verso cittadini e classe dirigente russa: non conviene a noi, non conviene a loro, avere la Russia completamente avulsa ed antagonista dell’Europa.
La diplomazia deve tornare al centro e la retorica nazionalista, banalizzante e guerrafondaia relegata a fenomeno marginale.
Ho molti dubbi che “si vis pacem, para bellum”.