Riceviamo e pubblichiamo
Il mondo è immobilizzato. È successo l’imprevedibile e stringe il cuore seguire di ora in ora il terribile bollettino di malati. E di morti. Ma soprattutto angoscia la salute diseguale, “la sfida di un mondo ingiusto”.
La differenza la fanno i diversi sistemi sanitari: quelli pubblici e quelli che si reggono sulle assicurazioni private. Dalla Svizzera agli USA, paesi fortemente avanzati e con una democrazia più compiuta della nostra, si stanno trovando a dover fronteggiare un’ecatombe. La sanità è riservata alle assicurazioni più alte e poi, via, via, a quelle più deboli. Chi non ha l’assicurazione, muore per strada.
Dove esiste la sanità pubblica, tutti vengono curati: abbienti e non abbienti, anziani, giovani e perfino gli stupidi che mettono a rischio la salute collettiva. Perfino i furbetti che trovano ogni escamotage per non pagare tasse e contributi. O per sfruttare al massimo tutti i possibili privilegi.
Con la sanità pubblica non esiste l’assioma: ti curo finché ci sono i soldi; quando i soldi sono finiti, non ti do più la prestazione.
Ma la sanità pubblica si regge sul contributo di tutti. Lo faceva notare qualche giorno fa un post su facebook, tra le migliaia di insulsaggini che girano questi giorni sui social: la sanità non è gratis, è pubblica.
In altre parole, di fronte ad un’emergenza sanitaria di cui non si ha riscontro in tempi moderni, ognuno è responsabile per se stesso e per tutti gli altri. Non è pensabile, né possibile ipotizzare delle deroghe perché ci sono delle diseguaglianze, perché non sono tutelati i diritti dei cittadini e le libertà fondamentali.
Ovviamente c’è chi abita in una villa con orto e giardino e chi sta in un mini appartamento dentro a un condomino. Chi è solo e chi ha accanto a sé la sua famiglia. Chi non può vedere i figli causa separazione e chi posta quadretti da Mulino bianco. Chi ha il cane e va a passeggio, chi non ce l’ha e grida dalla finestra. Chi deve andare a lavorare e chi non lavora più. Chi ha lo stipendio comunque assicurato e chi ha dovuto abbassare la serranda, e magari ha appena ricevuto la cartella esattoriale. Chi ha in sé l’energia per affrontare l’isolamento e chi non regge psicologicamente. Chi prende il Convid-19 senza neanche accorgersene e chi muore da solo, senza neppure il conforto dei suoi cari. C’è giustizia in tutto questo? Evidentemente no. È possibile mettere tutti sullo stesso piano? Certo che non è possibile. È la vita stessa che ha deciso le diversità.
E poi ci sono quelli che non fanno il proprio dovere, che vanno in bicicletta e a camminare in gruppo, che devono per forza fare la corsetta senza aver capito – o fregandosene altamente – che il virus viaggia da persona a persona. È per colpa degli incoscienti se si è arrivati ad ordinanze assolutamente restrittive delle libertà personali.
Se ogni mezz’ora gira la macchina della protezione civile con l’altoparlante a ricordare di stare in casa – che fa tanto Ventennio e mette angoscia – è proprio per far udire anche i più sordi.
Il sistema sanitario sammarinese è come una coperta troppo corta a causa delle scelte sbagliate di anni passati. Ma non è questo il luogo, né il momento per parlarne. Oggi, quella coperta riesce a coprire tutti grazie ad uno sforzo corale davvero encomiabile e perché tutte le risorse finanziarie, professionali, organizzative, relazionali vengono messe a disposizione della salute di tutti.
Andrà tutto bene? No! Non andrà per niente bene se ognuno pensa di poter fare quello che vuole e protesta per diritti che in emergenza passano in secondo piano.
Ce la possiamo fare? Sì! Purché si capisca che la sanità pubblica è di tutti e che ognuno di noi, oggi più che mai, è responsabile per se stesso e per tutti gli altri.
Angela Venturini