Ci vollero quasi due anni e mezzo di lavori, dal 7 marzo del 1994 al 26 settembre del 1996, per restaurare, ristrutturare, ammodernare Palazzo Pubblico. Ci troviamo ora a celebrare il 25esimo anno di quel poderoso intervento, voluto alla scadenza del primo secolo di vita. Ieri pomeriggio, la bella cerimonia presieduta dalla Reggenza, proprio per ricordare quell’evento.
Palazzo Pubblico fu inaugurato infatti il 30 settembre 1894 con la famosa orazione di Giosuè Carducci, un parterre di ospiti di rilievo internazionale e un’attenzione mediatica di cui non si era mai vista l’eguale.
Tutto il IX secolo rappresentò un periodo di grandi evoluzioni storiche, sociali ed urbanistiche per San Marino, che nella sua piccolezza e povertà, vedeva comunque crescere l’attenzione esterna e un continuo intensificarsi delle relazioni diplomatiche.
Per questo si decise di abbattere e ricostruire l’antica Pieve, che poi nel 1855 ricevette il titolo di Basilica. Per questo si decise ricostruire l’antica Domus Magna Comunis, eretta nella seconda metà del XIV secolo e non più rispondente alle esigenze di uno Stato moderno, anche dal punto di vista dell’immagine. Furono entrambi interventi di grandissima portata, non solo per l’impegno finanziario, visto che le risorse erano quelle di un’economia molto arretrata, ma anche per i lunghissimi e spesso inconcludenti dibattiti che si consumavano nel Consiglio Principe e Sovrano.
Nonostante l’affastellarsi di una serie infinita di problemi, entrambe le opere vennero portate avanti e inaugurate in pompa magna. Ma a distanza di un secolo dall’apertura del nuovo Palazzo Pubblico, emerse piuttosto evidente la criticità della struttura.
Quel Palazzo che aveva attirato le attenzioni politiche, diplomatiche e mediatiche di fine Ottocento, sicuramente sovradimensionato per un’attività politica di modeste proporzioni, alla fine del Novecento risultava ampiamente insufficiente per una Repubblica profondamente cambiata e per una popolazione notevolmente aumentata.
La cristallizzazione dell’ideale medievale rischiava di far diventare il Palazzo un monumento a se stesso, le qualità architettoniche e storiche non erano più sufficienti ad assolvere i requisiti richiesti ad una sede parlamentare. Era necessario abbattere le barriere architettoniche, prevedere uscite di sicurezza e norme antincendio (i piani sotterranei erano tutti di legno), modernizzare l’impiantistica, risanare la pietra e la boiserie, dare una sede di alta dignità alla Reggenza. Capitava spesso di votare ancora per pallis et baluctis.
Il dibattito che precedette la ristrutturazione di Palazzo, un quarto di secolo fa, fu lungo e molto acceso, nella continua ricerca di un equilibrio tra il mantenimento dell’identità e le nuove esigenze istituzionali. All’epoca non mancarono neppure coloro che suggerirono di spostare la sede del Consiglio Grande e Generale in altro luogo, più moderno e più facilmente fruibile ai lavori parlamentari; e riservare il Palazzo alle sole manifestazioni di rappresentanza.
Alla fine però, questa ipotesi non riuscì a prevalere perché si temeva che il Palazzo, svuotato delle funzioni istituzionali per le quali venne edificato, non sarebbe riuscito da solo a rappresentare un’immagine della Repubblica, ben più antica delle sue pietre.
Si decise, tutto sommato velocemente, di affidare l’incarico progettuale all’archistar Gae Aulenti e la supervisione architettonica delle opere all’architetto sammarinese Gino Zani. Durante l’apertura del cantiere, la sede del Consiglio Grande e Generale venne trasferita alla Domus Parva (oggi Segreteria Interni), al cui interno venne allestito un emiciclo capace di ospitare i lavori del Consiglio e delle Commissioni. Il Congresso di Stato si riuniva a Palazzo Begni.
I lavori furono anche l’occasione per riscoprire frammenti di storia risalenti addirittura alla Domus Magna, reperti ceramici che non hanno grande valore artistico, ma che testimoniano una quotidianità di cui si è perduta la memoria. Ogni piccolo dettaglio dei lavori, le fasi progettuali e di realizzazione, i restauri, le nuove soluzioni per gli arredamenti e per i servizi, sono stati puntualmente documentati nel volume: “La sede nova della Repubblica”. Si tratta di una pubblicazione preziosa, curata da Gino Zani, con le fotografie di Gabriele Basilico, che oggi rimane come preziosa testimonianza del restauro di Palazzo Pubblico.
I sammarinesi furono contenti del restauro di Palazzo? Qualcuno sì, qualcuno no. Alcuni rimasero comunque affezionati alle vecchie soluzioni architettoniche e anche alle antiche criticità. Ma oggi, che si celebra il 25esimo di quella “sede nova” ci siamo tutti abituati all’immagine splendente della pietra di Palazzo, alle sue comodità, alla possibilità di una rilettura del passato che è stata ampiamente valorizzata. La qual cosa, è un grande privilegio anche per le future generazioni.
a/f