Lo abbiamo letto spesso in questi giorni che l’Europa sarebbe diventata il commissario liquidatore di se stessa. E così ci siamo inevitabilmente chiesti se sia davvero quell’inutile carrozzone che quotidianamente ci viene rappresentato dai giornali.
Le riflessioni sarebbero innumerevoli, soprattutto se esse volessero incentrarsi sulla politica e sulla visione strategica di questa nostra Europa. Spesso poi le considerazioni politiche sono legate a doppio filo a quelle economiche e risulterebbe davvero difficile volersi occupare di economia distintamente dalla politica perché l’una non esiste senza l’altra. Spetta alla politica e dunque ai cittadini decidere se considerare l’Europa un punto di riferimento e in quali forme eventualmente aderire o non aderire. Mentre è un fatto che la Repubblica di San Marino abbia una risonanza importante nella sinfonia europea.
L’Europa non può rinunciare a San Marino e a tutto ciò che esso rappresenta nella sfera della cultura per la maniera stessa in cui è stata concepita. Allo stesso modo sono convinto San Marino non possa rinunciare all’Europa. Si tratta di un’opportunità quasi imprescindibile per un piccolo Stato la cui sfida più importante rimane quella di continuare a internazionalizzare. L’Europa costituisce il palcoscenico principale in cui realizzare la strategia futura del Paese. E tuttavia far parte dell’Europa implica responsabilità e conoscenze nuove, altrimenti il rischio è che la partita si giochi tutta sugli oneri e di dover rassegnarsi a rinunciare ai benefici e ai progressi.
L’Italia per esempio ha giocato male le sue carte fin dall’inizio, per anni ci si è ostinati a credere di poter sperperare i soldi in arrivo dall’Europa senza peraltro avere la minima consapevolezza che i fondi a cui si aveva accesso arrivavano dalla stessa Italia che dell’Europa è contribuente netto (tanto dà e tanto può riprendersi). La cosa più grave poi è l’essere arrivati in Europa convinti che si dovesse giocare tutti alla pari. Là, come ovunque nel mondo, raccoglie chi ha seminato: per accedere ai finanziamenti europei occorre aver studiato i programmi (e prima ancora la lingua inglese) e con quei programmi sintonizzare le proprie idee, imparando a progettare in maniera armonica con i rappresentanti degli altri Paesi. Senza mai dimenticare che il più buono e bello dei progetti va rendicontato nel dettaglio visto che dovrà passare sotto alle forche caudine di revisioni di primo, secondo e terzo livello.
In quel passaggio si sono perse la gran parte delle risorse. Fa impressione, al contrario – e dovrebbe far riflettere – leggere i dati diffusi dal Sole24ore sulla Polonia, Paese che dopo l’ingresso in Europa non avrebbe mai smesso di crescere, nemmeno durante la crisi. Un Paese che ha dimostrato di saper utilizzare al meglio i fondi comunitari (può contare su 80 miliardi di euro dal 2014 al 2020) e che continua a sostenere gli investimenti produttivi con risorse del suo governo, attraverso iniziative specifiche come le zone economiche speciali o i fondi per l’innovazione.
Stefano Ercolani, Presidente Asset Banca