La Sfinge e lo Sceriffo
di
Titanus
Investiti da sacro furore,
come per volere di supremo Spirito,
furono guida dell’onnipotente Istituto Centrale
– così onnipotente e centrale che tutto il resto era periferia da bruciare.
E l’avrebbero resa alle fiamme, quella periferia dannata e peccatrice,
certi che dalle ceneri sarebbe risorta migliore e più forte
– come se da catarsi nascessero virtù.
Uno di loro ignorava la locale favella,
solo s’esprimeva con enigmatiche iperboli
che incutevano mistico rispetto.
L’altro, seclusosi in autistica rocca,
non usava affatto la favella,
se non per esaltare la sua lucente stella.
Ma per entrambi la parola era inane fatica,
da non sprecare con villani indegni,
che d’altro non eran degni che di nerborute bastonate
come fio d’orrende corruttele.
E loro lì, saldi, forti e valorosi,
in nome di più alta Verità
promulgavano editti
e sancivano pene
(ma sempre per il bene altrui,
s’intende…).
Ah, guide incomprese di quel paradiso perduto!
Giammai i locali ne capivano il valore.
E giammai loro stessi dubitavano della di sé giustezza.
Incompetenti?
Molti lo giurarono .
In mano al diavolo?
Tanti lo sospettarono.
Ferventi iconoclasti?
Atri lo temettero.
Ma il tempo è galantuomo,
i due pensarono,
e un giorno avrebbe di loro vantato
onori e meriti,
tributandogli pur tardiva gratitudine.
Non s’accorsero, però,
che chi d’arroganza ferisce
d’ignoranza perisce.
E così ignorarono la triste fine
che da presso – ahiloro! – incombeva.
Si dice che la Sfinge sia tornata
a vegliare, vetusta e arcana, sulle sabbie del deserto.
E si racconta che lo Sceriffo,
sempre silente,
lustri la sua lucente stella
nella solitudine
di una cella oscura.
Che ingiusta la vita!