San Marino. Le inquietanti coincidenze che ruotano attorno al Processo Mazzini… Scopriremo mai se e cosa c’è sotto? … di Enrico Lazzari

Cosa c’è dietro al Processo Mazzini? Seguii per interesse prima e per professione poi, l’intera indagine, fin dal giorno dei primi due arresti e, fin da subito, mi venne il sospetto che sotto-sotto ci potesse essere qualcosa di diverso dal dichiarato ripristino della legalità, come dichiarato e come da tutti ritenuto.
Un sospetto, nulla più… Dettato da un’ombra di illogicità che emergeva -ad una analisi razionale- dagli stessi atti relativi all’indagine. Mancavano, però, all’epoca, elementi oggettivi incontestabili, chiari, inequivocabili per credere e sostenere con autorevolezza che il fine dell’intera indagine fosse diverso da quanto un qualunque tribunale ha il dovere di fare di fronte ad ipotesi di reato.
Nulla di concreto, se non le citate irrazionalità logiche, poteva contestare l’immagine “dipietresca” del Pm Buriani e “riinesca” degli indagati. Fin da subito, però, acquisii una solida certezza. Mi convinsi che nulla, neppure la favorevole testimonianza di Gesù Cristo che avesse giurato su suo Padre, avrebbe salvato gli indagati da una pesante condanna.
Una convinzione che non scemò neppure nel corso del dibattimento di primo grado (che segui in praticamente tutte le udienze, mollando alle arringhe finali, quando i giochi erano ormai fatti), durante il quale emersero continuamente evidenze capaci di smontare, una a una, tante delle “certezze” scritte dall’accusa nel fascicolo processuale e nel relativo rinvio a giudizio.
Mi sentivo -ve lo confesso- una sorta di “Don Chisciotte” che si “schianta” contro i mulini a vento credendoli “soldatoni” di un esercito rivale… Pensai, addirittura, di mollare tutto, specie dopo qualche “accorato” invito -più o meno palese- ricevuto per farlo. Del resto, compresi fin da subito che la mia “narrazione” delle udienze cozzava clamorosamente con quanto leggevo su altri media, magari nella cronaca redatta da chi, in quell’udienza, era seduto proprio di fianco a me…
Non mollai… Ricordo alcuni titoli di mie cronache, che all’epoca -letti da una comunità che aveva già emesso sua una durissima sentenza di condanna- comprendo qualcuno possa aver scambiato per “verbali” redatti da uno psichiatra durante una seduta in cui io sarei potuto essere il paziente… Uno su tutti: “Chi tocca le banche muore…”. Individuai, infatti, una “strana” coincidenza temporale -nulla più all’epoca- fra “appuntamenti-chiave” per la cessione ad un grande gruppo straniero dell’Euro Commercial Bank (poi finita al Cis) e gli arresti di Claudio Podeschi e Fiorenzo Stolfi, che ne avevano favorito i primi contatti fra le parti e la successiva trattativa. Una trattativa poi naufragata anche, si deduce, per l’uscita di scena traumatica dei due…
Se ben ricordo, infatti, secondo voci pressanti che circolavano all’epoca nei corridoi che contano, l’arresto di Podeschi giunse poche ore prima dell’appuntamento, già fissato, per la definizione dell’accordo di acquisto dell’ECB, che quindi saltò… Con Podeschi fuori gioco, ricordavano le stesse voci, entrò in gioco, in quella trattativa, Stolfi, ma, ancora una volta, quando tutto sembrava fatto questi venne arrestato e saltò nuovamente e definitivamente tutto…
Cercai di approfondire, ma nessuno volle “immischiarsi” e tutto morì lì, con quel singolo articolo e la vicenda restò nulla più di una strana coincidenza temporale.
Ancora oggi, del resto, è tale. Null’altro! Ma, a dire il vero, le strane coincidenze sono diventate, da due, tre. Infatti, di fronte alla Commissione di Inchiesta parlamentare su Banca Cis, il teste Federico D’Addario sostenne testualmente, senza mezzi termini, che “una settimana prima dell’arresto di OMISSIS (si presume Claudio Podeschi, unico arresto del periodo unitamente alla sua compagna – ndr), nel giugno del 2014” avrebbe “avuto modo di sentire il dr. Guidi (vertice di Banca Cis) che argomentava al telefono con persona ignota, continuando ad insistere che il non ben identificato personaggio doveva essere arrestato…”. Poco dopo, nell’ambito dell’indagine del Pm Alberto Buriani, venne arrestato Podeschi (con la sua compagna), il quale ormai “pensionato” dalla politica da protagonista, aveva, in quel momento -e la conferma mi giunse direttamente da un suo legale- un ruolo importante nella trattativa che doveva portare alla cessione di Euro Commercial Bank ad un gruppo diverso da quello in cui, poi, finì: Banca Cis.
Terza, inquietante, coincidenza… Ripeto, coincidenza, pur inquietante, ma nulla più!
Oggi, dopo quanto emerso nelle conclusioni di una Commissione di Inchiesta consigliare secondo le cui “appare lecito affermare che Simone Celli” avrebbe “agito nell’interesse del Gruppo Grandoni che poteva così contare sull’affiliazione al gruppo, oltreché di un magistrato inquirente (Alberto Buriani, “padre” dell’inchiesta Mazzini -ndr), anche del Segretario di Stato per le Finanze in carica fra l’inizio del 2017 e l’ottobre 2018”, queste tre semplici coincidenze assumono sfumature inquietanti e, forse, eloquenti.
“La Commissione -scriveva ieri sulla sua pagina social Emilio Della Balda- stigmatizza le azioni di Celli per l’appoggio ai vertici di BCSM, per la solidarietà a Siotto, per la nomina dei confuortiani in Cassa di Risparmio, per la conversione del credito di imposta CIS in titoli di Stato, per l’adozione dei decreti suggeriti da Confuorti, per il sostegno assicurato a Mazzeo e Moretti”.
“E’ impossibile -conclude lo stesso Della Balda- che il governo (Adesso.sm – ndr) non si rendesse conto di essere finito completamente nelle mani del Gruppo Grandoni”.
Ma torniamo a me… Ero, all’epoca, sul quotidiano italiano con cui collaboravo e grazie a Giornale.sm che riprendeva molti dei miei articoli sul processo Mazzini, l’unica voce dissonante dalla narrativa “ufficiale”… Questo, evidentemente, per usare un eufemismo, non piaceva a tutti. A qualcuno, forse, dava molto fastidio. Tanto che le “coincidenze” non si limitarono alla temporalità di alcuni eventi prettamente legati alle vicende giudiziarie e bancarie. Come ricordato poco fa, ricevetti più o meno velati inviti a lasciar perdere il mio lavoro, a far “scemare” la mia attenzione verso il processo Mazzini… Inviti che caddero nel vuoto. Anzi, mi spinsero ancor di più ad “indagare” su cosa potesse esserci sotto a quell’indagine, che poi in dibattimento, udienza dopo udienza, vedeva ridimensionarsi l’autorevolezza delle accuse.
Poi, una mattina -non sono noto per essere il più mattiniero dei giornalisti- mi svegliai con decine di messaggi ricevuti e scoprii -dalle pagine del quotidiano “L’Informazione”- che ero uno dei tanti debitori responsabili del dissesto economico sammarinese. Ovviamente è inutile sottolineare che, in realtà, non avevo alcun debito con banche sammarinesi e il mio nome non poteva certo venir inserito in quel momento fra i titolari di debiti inesigibili. Fu un semplice errore? Fu una trappola in cui innocentemente gli amici Carlo Filippini e Antonio Fabbri (che decisi di non denunciare proprio per il rapporto personale che c’era, limitandomi ad inviare una smentita con richiesta di pubblicazione, senza peraltro verificare se fosse stata pubblicata o meno) cascarono? Chissà… Sarà stata l’ennesima innocente “coincidenza”…
Forse, anche se un dubbio mi attanaglia: perchè né l’amico Carlo Filippini (con il quale ho condiviso anni della mia vita nell’avventura Sì-San Marino Italia prima e San Marino Oggi poi), né l’amico e compaesano Antonio Fabbri (fui addirittura io ad “avviarlo” alla professione giornalistica spingendo affinchè fosse accolto nella redazione di San Marino Oggi) si preoccuparono di verificare, direttamente con me, la fondatezza della notizia? Ciò avrebbe evitato che sia la redazione che sia i lettori che fossero finiti -nella migliore delle ipotesi- vittime di qualche “furbo” che -forse- si è preoccupato di consegnare la delicata lista dei debitori dopo averla -diciamo- corretta, avessero ricevuto una informazione errata e, certamente, diffamatoria. Non solo diffamatoria verso la mia persona, ma intrinsecamente e indirettamente verso ogni mio resoconto del processo…
Neppure quella ennesima coincidenza, però, seppure mi fece “incazzare” non poco, mi indusse a lasciar perdere… Le udienze del primo grado del Mazzini andavano avanti e, con esse, si smontava progressivamente, testimonianza dopo testimonianza, anche grazie a teste citati dall’accusa, gran parte dell’impalcatura accusatoria…
Non fu dello stesso avviso, però, il Giudice che chiuse il primo grado con pesanti condanne spiegate in motivazioni di sentenza dove gli aspetti controversi non mancavano di certo. E dove, incredibilmente!, nonostante non figurassi in alcun atto di quel procedimento, venni addirittura palesemente citato, come appresi -prima di poter leggere la stesse motivazioni- dalle pagine de “L’Informazione”… Dove venni citato -credo sia unico caso al mondo, sistema giudiziario della Corea del Nord compresa- non per responsabilità emerse nella vicenda giudiziaria ma per la mia opera da giornalista nella narrativa di quel procedimento giudiziario, come elemento di turbativa della serenità degli “addetti ai lavori” e quindi del processo stesso… Se ben ricordo il mio lavoro, secondo il Giudice -non so poi a che titolo possa essersi permesso di giudicare la mia professionalità-, fu “al limite della deontologia professionale”.
Oggi, alla luce dei nuovi elementi che emergono mi vien da pensare una cosa: se il mio lavoro era ai limiti (quindi, non varcandoli, corretto, anche se ad una lettura superficiale potrebbe sembrare che quella frase significhi il contrario) della deontologia professionale, siamo sicuri oggi che nessuno dei protagonisti di quel procedimento si sia invece spinto oltre il limite della propria deontologia professionale? Io non ne sono più così sicuro, ma confido che l’imminente sentenza di secondo grado possa dare risposte certe su quella quanto mai intricata vicenda. E non solo relativamente alle reali responsabilità degli imputati.
Lo confido non per una fiducia incondizionata nel giudice -la cui apparenza di equità e libertà di giudizio, e ribadisco apparenza, è stata messa a dura prova da diverse situazioni- ma per il curriculum prestigioso dello stesso, che verrebbe pesantemente ridimensionato nel suo prestigio da una sentenza in terzo grado che possa smentire le sue conclusioni… Per questo motivo confido che l’illustre Giudice di appello presterà la massima attenzione e la sua professionalità ed esperienza nel redigere questa sentenza che scriverà -almeno fino all’eventuale terzo grado di giudizio- una pagina importantissima della storia recente sammarinese.
E, magari, potrà contribuire a svelare, una volta per tutte, l’arcano che io non sono riuscito a districare: cosa c’è dietro all’inchiesta e al Processo Mazzini?

Enrico Lazzari