San Marino, le nostre urne vuote e l’anima della Repubblica … di Marino D’Arbe

Cari sammarinesi,

osservo con il cuore pesante il silenzio che avvolge le prossime elezioni per i nostri Castelli. Vedo liste diverse comunità, ascolto gli appelli preoccupati dei politici che temono che non siate abbastanza numerosi a votare, e mi chiedo: dove sono finite la passione, la dedizione, l’amor di Patria che ci hanno resi liberi? Dove è svanito quel senso del dovere che ha permesso a questa piccola roccia di diventare una Repubblica?

Vedo che oggi si discute di molte cose. Si propongono riforme intelligenti, come quella di dare più peso ai Capitani di Castello, o più controverse come quella di aprire le porte della partecipazione attiva a chi, pur non essendo nato qui, ha scelto questa terra come la propria casa. Sono tutte discussioni importanti, che nascono da un desiderio sincero di rinvigorire la nostra democrazia. Ci sarà tempo, da lunedì prossimo, per approfondirle e valutarle.

Ma nessuna legge, nessuna riforma, potrà mai sostituire il gesto più semplice e potente di tutti: la scelta di un cittadino di prendersi cura della propria comunità. E il primo modo per prendersene cura – oltre che mettere le proprie competenze e il proprio tempo a disposizione candidandosi – è recarsi a votare.

Sento già le vostre obiezioni, le stesse che si sussurrano nei bar e si scrivono nelle piazze virtuali: “Perché votare se c’è una sola lista?”, “Sono tutti uguali”, “Non cambia mai niente”. Comprendo la stanchezza, la disillusione, la sensazione che la politica sia diventata un gioco lontano, fatto di palazzi, giochi di potere e non di persone. Ma questa stanchezza è una trappola pericolosa.

Non andare a votare non è un atto di protesta. È un atto di resa. È come se un padre di famiglia, stanco dei problemi della casa, decidesse di non riparare più il tetto che perde, lasciando che la pioggia rovini tutto. La protesta silenziosa dell’assenteismo non punisce i politici. Punisce la comunità intera. Indebolisce le nostre istituzioni più vicine, quelle Giunte di Castello che sono le fondamenta della nostra casa comune.

Io sono fiducioso, non temo che anche in un solo Castello non si raggiunga il quorum, ma so che un Capitano di Castello eletto da pochi cittadini è un Capitano più debole. Una Giunta sostenuta da un’esigua minoranza avrà meno forza nel rappresentare i bisogni di tutti, nel conquistare le giuste attenzioni per il Castello dal Potere Centrale. Lasciare le urne vuote significa dire al mondo, e soprattutto a noi stessi, che non ci importa più di quanti fondi verranno destinati dalle Segreterie di Stato alla nostra comunità locale e alla risoluzione delle sue problematiche; che non ci interessa più chi si occuperà delle nostre strade, delle nostre piazze, delle scuole dei nostri figli, della vita quotidiana del luogo in cui viviamo.

La democrazia, figli miei, non è uno spettacolo da guardare seduti in poltrona. È un giardino da coltivare, ogni giorno, con fatica. E chi, nonostante la disaffezione generale, ha avuto il coraggio di candidarsi, di mettere a disposizione il proprio tempo e la propria faccia, ha fatto un atto di amore verso questo giardino. Merita rispetto e merita – soprattutto – la legittimazione che solo un’ampia partecipazione al voto può dargli.

Domenica prossima, quando andrete a votare, non starete semplicemente scegliendo un nome su una scheda. Starete compiendo un gesto che ha un significato molto più profondo. Starete dicendo: “Io ci sono. Io partecipo. Questa Repubblica è anche mia, e me ne assumo la responsabilità”. Starete dimostrando, a chi ci guarda da fuori e a noi stessi, che il popolo del Titano è un popolo maturo, consapevole, che non abdica al suo primo diritto-dovere di cittadino.

Non lasciate che il silenzio delle urne vuote parli per voi. Fate parlare la vostra presenza. Perché una Repubblica sopravvive non grazie ai suoi eroi o ai suoi grandi leader, ma grazie all’impegno silenzioso e costante di ogni singolo cittadino. Andate a votare. Fatelo per voi, per i vostri Castelli, per l’anima stessa della nostra Libertà.

Marino d’Arbe