San Marino. Le riforme s’hanno da fare, o per il quieto vivere lasciamo tutto così com’è? … di Alberto Forcellini

Le riforme. Come recita un noto proverbio romanesco, sono come la signora Camilla, tutti la vogliono e nessuno la piglia. In altre parole, sono il paravento, l’ombrello, il manifesto elettorale o addirittura programmatico dei governi e dei partiti, ma effettivamente non le vuole nessuno. O quasi.

Uno spettro sintomatico delle varie posizioni, si è avuto durante la festa di Libera, al parco Ausa a conferma che il mantra delle riforme tiene prigioniero il dibattito politico da molti anni. Ma siamo sempre lì, alle parole.

Emblematica l’affermazione dalla DC: la San Marino del domani non dovrà essere meno garantista di quella di ieri. Fuor di metafora: quello che c’è, non si tocca. E quando si parla di pensioni, vuol dire che è meglio lasciare stare. La DC è il partito di maggioranza relativa, se non si muove lei, gli altri possono fare ben poco.

Il sindacato (compreso quello di sinistra) è più o meno sulla stessa linea: le prestazioni non si toccano, l’età pensionabile non si tocca, i contributi non si toccano. Ergo, nessuna riforma pensionistica, se no è già pronta la mobilitazione di piazza per l’autunno.

Poi c’è il giochino delle priorità: prima ci vogliono tutte le altre riforme, poi quella delle pensioni. No assolutamente, le riforme devono essere fatte tutti insieme. L’argomento è scivoloso perché ci sono riforme che dividono il Paese: quella sull’IGR, quella sull’IVA e perfino quella sulla giustizia. Le opposizioni hanno una paura tremenda che si faccia. Guai se il tribunale dovesse riprendere a funzionare, perché gli armadi sono pieni di cadaveri nascosti. La loro massima aspirazione, come si evince dalle cronache, è il ripristino del “sistema Buriani”.

Così non se ne esce. E qui nascono le ragioni della verifica di maggioranza, che essendo assai composita ha instillato nei partiti che la compongono il timore di perdere i propri dati identificativi, senza tenere nel debito conto che le riforme sono una questione di identificazione nazionale, non di bandierine. Sono la vera prova generale della maturità politica di un Paese.

Ci vorrebbe un leader come Mario Draghi! Ma se l’Italia, che ha una popolazione di 60 milioni di cittadini è riuscita ad esprimere un solo personaggio di quella caratura, San Marino, con le sue 30 mila anime, o poco più, non ha nessuna speranza.

Nella storia recente, a guardar bene, si registra una scarsa presenza di statisti, cioè di personaggi conoscitori dell’arte del governare, forse uno per generazione. Negli ultimi 30 anni, anche meno, e la scarsità di menti illuminate ha ridotto la democrazia ad ostaggio di questo o quel gruppo di potere. Ognuno dei quali, alla fine, si è rivelato pressoché uguale agli altri e con gli stessi obiettivi: raggiungere il potere per avere più denaro; avere più denaro per raggiungere il potere. Un meccanismo perverso, al quale anche i cittadini si sono assoggettati perché ciascuno, in questo modo, poteva ottenere qualcosa in più, che non gli sarebbe aspettato di diritto, semplicemente promettendo il voto a questo o a quello, a seconda delle opportunità.

I risultati li stiamo toccando con mano: sfasciato il sistema finanziario, sfasciato il tribunale, un ospedale ostaggio delle satrapie politiche, una PA da rifondare, un bilancio dello Stato pieno di debiti, un territorio snaturato da un’immensa colata di cemento e asfalto, una credibilità internazionale tutta da ricostruire.

San Marino è stata la pecora nera dell’Europa per molti anni, adesso è molto difficile risalire la china, considerato un immobilismo di sistema che coinvolge trasversalmente la politica e i vari organismi, che alimenta critiche e attacchi per le poche voci fuori dal coro.

Ci vogliono politici con l’animo dello statista e dentro gli organismi pubblici ci vogliono professionisti “innamorati” di San Marino. Di quella gente che vuole questo o quel posto, questo o quell’incarico, solo per lo stipendio, non ce n’è davvero bisogno.

Altrimenti, lasciamo perdere la democrazia, le riforme, la condivisione, eccetera, eccetera e torniamo al “principe sovrano”. La cui nostalgia, probabilmente, qualcuno ancora ce l’ha.

a/f