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  • San Marino. “Le sacré, voilà l’ennemi” … di don Gabriele Mangiarotti

    Mi capita spesso che editori mi mandino testi per recensire su CulturaCattolica.it. Recentemente ho potuto leggere la raccolta delle riflessioni e conferenze di Emanuele Samek Lodovici (Una vita felice. Ed ARES) con la meraviglia di testi chiari e capaci ancora di sorprendere. Ho ritrovato questo pensiero: «Coloro che sul piano spirituale sono proletaricombattono solo se sono sicuri di vincere, quelli che sul piano spirituale sono borghesi combattono solo se hanno qualcosa da conservare, quelli che sul piano spirituale sono nobili combattono anche quando sono sicuri di perdere e proprio per questo vincono moralmente.

    Una persona che si esercita a lottare inizia poi anche a sperare

    Siamo nobili (come al figliolo Vittorio che gli domandava: “Signor padre, siamo noi nobili?” il conte Antonio Amedeo Alfieri rispose: “Sarai nobile se sarai virtuoso”) e cerchiamo di vivere secondo coscienza e verità, lontano dal politically correct che vorrebbe mettere a tacere (con i consueti strumenti del potere) coloro che insistono nell’andare controcorrente.

    E non smetteremo di gridare ai quattro venti che la vita è un bene che va difeso sempre, in qualunque condizione, e che la sua distruzione (che sia aborto o eutanasia, come mancanza di libertà e guerra tra i popoli) non potrà mai essere accettata con rassegnazione.

    L’incontro sulla Pacem in terris ci ha confermato in questa profonda convinzione, aprendo quelle prospettive che il magistero della Chiesa ha sempre sostenuto, e che l’opera del Card. Zuppi in Ucraina e in Russia ci ha mostrato come l’unica via realisticamente percorribile.

    Poi ho letto queste parole riportate da Giulio Meotti, sempre lucido, ahimè, nei suoi giudizi: «Ha scritto sul Wall Street Journal Gunnar Heinshon, professore all’Università di Brema: “Le nazioni morenti sono definite da un tasso di fertilità di 1,5 o inferiore (l’Italia è a 1,2). Con questa misura, 30 paesi europei muoiono o, come la Francia, vedono la loro cultura e popolazione trasformate da minoranze etniche e religiose in crescita”. Secondo Heinhson, autore del libro Söhne und Weltmacht (I figli e il dominio del mondo), l’Islam ha in mano le chiavi del futuro. “In soli 100 anni, i paesi musulmani hanno duplicato la crescita che l’Europa ha sperimentato tra il 1500 e il 1900. La percentuale di giovani europei nel mondo, pari al 27 per cento nel 1914, è oggi inferiore (9 per cento) a quella del 1500 (11 per cento). Gli abiti del ‘pacifismo’ europeo e del suo ‘soft power’ nascondono nuda debolezza… Durante il Sessantotto, l’Università di Nanterre fu l’epicentro delle proteste studentesche. Allora i “giovani” coniarono uno slogan: “Le sacré, voilà l’ennemi”. Il Cristianesimo, ecco il nemico! Oggi, come una nemesi ironica, un altro tipo di sacro – giovane, violento, conquistatore, egemonico, propulsivo – sta rovesciando l’Europa. Ma una civiltà di Elton John come la nostra può trovare la soumission perfino piacevole.»

    Mi sembra che sia necessario riconoscere con chiarezza quello che sta accadendo anche tra noi. Da un lato il desiderio di un confronto pacifico tra le varie realtà umane, pur nella loro diversità chiamate a un «dialogo» costante e appassionato, ma dall’altro un accanimento contro la propria storia cristiana e contro le sue indicazioni morali, come se fossero una catena insopportabile, così da esaltare il cosiddetto libero pensiero (cioè ogni forma di rifiuto del sacro) e da imporre – nello spazio pubblico della scuola – una visione della vita affettiva e familiare in contrasto con i principi naturalmente riconoscibili.

    Mentre rimane evidente la permanenza nel nostro popolo di valori solidi e tradizionali. È qui però il problema, perché se tali principi non sono difesi con tenacia e con ragioni adeguate presto scompaiono. Quante volte ho avuto l’occasione di citare questo giudizio chiarissimo di s. Giovanni Paolo II: «Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta» (e basterebbe pensare che si può sostituire alla parola fede «le convinzioni che sostengono la vita di ogni uomo»), come pure ho ricordato quanto un grande educatore di giovani sosteneva: «Mi apparve allora chiaro che una tradizione, o in genere un’esperienza umana, non possono sfidare la storia, non possono sussistere nel fluire del tempo, se non nella misura in cui giungono ad esprimersi ed a comunicarsi secondo modi che abbiano una dignità culturale».

    Ecco allora la grande questione, che riguarda proprio tutti (e che rivelerà la vera nobiltà dell’animo): siamo chiamati in prima persona a mostrare la convenienza e la ragionevolezza di ciò che costituisce la nostra identità, capaci di rendere conto di quanto sostiene la nostra vita, andando pure contro corrente. E qui prendo ancora in prestito le parole del grande Samek Lodovici: «Un terzo aspetto riguarda la fortezza. Di fronte all’obiezione per cui, agendo con tali principi, i figli diverrebbero dei disadattati, ritengo che non omologare i figli in questa società sia un dovere. Occorre abituarli a dire no al predominio dei cretini, abituarli in fondo a capire, come paradosso, che devono essere intelligenti perché soltanto loro capiranno perché gli stupidi fanno carriera. Bisogna insegnare ai figli a fare fronte, a resistere e ad assalire, cioè a essere forti, poiché se sono forti cambiano l’ambiente; certo, questo costa, ma nei tempi lunghi darà grandi frutti. Non dobbiamo perciò preoccuparci se trasmettendo uno stile di vita ne facciamo dei disadattati; non bisogna cedere prima degli altri, se si sa perché si combatte. Un filosofo che amo, Nietzsche, afferma: «Chi ha un perché nella vita sopporta molti come» (molte cose). Pensiamoci: chi ha un perché nella vita sopporta anche molte anormalità, molte delusioni iniziali, ma assicuro che in ultimo la fine dei Proci la fanno gli altri.»

    E capiremo che «il Cristianesimo, ecco l’amico!». Creando anche luoghi e occasioni per non rimanere soli in questo cammino.

     

    Don Gabriele Mangiarotti